In una tiepida domenica di inizio novembre arriva una spallata alla credibilità del nuovo Napoli. Ed è stata portata nel modo peggiore, ad opera della squadra più rampante (l'Atalanta), con una dinamica inesorabile (un dominio subito nell'arco dei novanta minuti) ed in totale assenza di attenuanti, fatta eccezione per l'assenza di Lobotka, l'unico minus che gli azzurri non sono in grado di compensare nemmeno sulla carta. Alzata l'asticella, il Napoli paga un dazio pesante per una proposta di gioco approssimativa e insufficiente. Un limite noto, coperto finora dalla tenuta della difesa e perfino esaltato da chi ha avuto la fantasia di vederci la prova provata di un cinismo superbo. E' curioso che nel giorno di una disfatta inattesa vada in scena il copione più prevedibile, con l'anti-eroe che recita male ed a fatica: è ancora su Lukaku che si concentreranno critiche e perplessità. Il suo ruolo di eterna sponda sarebbe discutibile già se perdesse la metà dei confronti. Figuriamoci quando frana due volte su tre, senza incidere minimamente nella manovra e nelle finalizzazioni. Ed è così che il Napoli si trova a gestire due problemi oggettivi, visto che anche per Meret si riaprirà il baratro dalla sfiducia. Quando si dice il valore della continuità, in un contesto che non ammette pause od il solo ricordo di prestazioni felici. La vetta non perdona pause.
Nella realtà delle valutazioni a freddo, il discorso potrebbe essere anche un altro. Ossia capire quanto sia prematuro assegnare un valore definitivo a sfide come questa. Tutto può nascere dalla malizia con la quale accogliamo le esternazioni di Conte, che ha avuto tutto l’interesse nel preparare l’ambiente al passo falso. Come reazione naturale, pensiamo di getto al gioco delle parti, ma la realtà sarebbe inoppugnabile: un gruppo in (ri)formazione, un ambiente da rigenerare, una nuova mentalità di gioco e le diverse dinamiche di spogliatoio non possono definirsi compiuti in tre mesi netti. Pensarlo sarebbe follìa. La sfida ed il risultato di oggi sono solo un esame in itinere, che di definitivo non ha assegnato nulla oltre ai tre punti. Ecco il senso delle parole di Conte, che ha invitato ad attendere la fine della stagione per un paragone dei meriti con una Atalanta dichiaratamente superiore.
Ad un terzo del campionato, di certo c’è che soltanto la Roma figura tra le squadre che hanno palesemente deluso. Le big hanno mostrato momenti di flessione, ma restano tutte assolutamente a galla, in grado di tenere il passo e di vincere con sufficiente autorità in casa della provinciale di turno. Insomma, tutto resta in assoluto divenire, mentre il limite della zona Champions appare oggi l’unica linea di traguardo da tener veramente d’occhio.
(Fa.Cas.)
Altro che partita sporca. Conte ridisegna estetica e metro di giudizio. Sottolineando il dominio, i ventiquattro tiri a porta, i sedici angoli ed un possesso pressochè ininterrotto, tesse un elogio alla concretezza di una squadra che fa il suo dovere e domina in classifica. Certo, contro un Lecce votato al contenimento, il gioco diventa asfittico. Ma il Napoli ha ormai un suo marchio di fabbrica riconosciuto che fa a meno dell'estetica e privilegia il risultato. E' un approccio straordinariamente pragmatico che anima le discussioni del tifoso ed avrà presto la sua controprova: sarà nel confronto con le big il momento della verità assoluta. Conte propone Ngonge e Neres, a turno premia il collettivo e l'applicazione in allenamento ma ha il suo tormento proprio nell'unico uomo insostituibile: Lukaku. Durante la ricerca della forma perduta, su Romelu si aprono discussioni sul problema di fondo: è ancora un uomo che può fare la differenza? L'età e l'ingombro di trascorsi da vero campione creano perplessità difficili da rimuovere. Pensieri collaterali in un momento di entusiasmo crescente.
Impossibile vivere senza il veleno quotidiano. Il Napoli ha trovato il suo cruccio nel rinnovo del contratto di Kvara. Il discorso, pero, è indefinibile già nelle sue premesse: quanto vale realmente il georgiano e -dunque- qual è il suo giusto compenso? Ecco la madre di tutte le domande, resa indecifrabile da un rendimento che non è stato molto costante nel tempo. Ma proprio questo è il punto, il peso specifico su cui tarare la logica. Perché esiste un valore troppo spesso ignorato in nome del talento: la continuità. E’ un elemento essenziale, indispensabile per gli organici che puntano al vertice, se vogliamo anche un elemento di rottura con il recente passato. Perché un conto è offrire altalenanza se gli obiettivi sono dimessi, ben altro conto è deludere quando è letale fallire anche un solo incontro, magari decisivo. Kvara, nel suo straripante talento, non offre certezze. E’ un po’ la parabola di Zielinski, spesso vittima della sua alternanza di rendimento e ben poco decisivo oggi nell’Inter, o quella di Marek Hamsik -tanto per scomodare l’Olimpo delle leggende azzurre- che collezionò ben più di qualche passaggio a vuoto nella sua straordinaria epopea napoletana. Se alla discontinuità verrà riconosciuto un suo disvalore - come pare verosimile - la distanza fra domande ed offerta è destinata a restare ampia, forse irrisolvibile fino ad un complicato mercato estivo.
Nell’immediato futuro, con l’affanno che non appartiene al calendario del Napoli di quest'anno, c'è la sfida con il Milan ed il successivo “ciclo terribile”, una miniserie di sfide che interverrà più sull’autostima della squadra che non su una classifica ancora acerba. Tra i meriti palpabili e la ventura di un calendario fino ad ora morbido, il Napoli si trova nelle condizioni di affrontare le big nelle condizioni migliori. Può sembrare un fatto casuale, ma non lo è. L’onda dell’entusiasmo non è facile da ricreare, come la credibilità smarrita. C’è più fiducia oggi che dopo uno scudetto vinto. Già la suggestione non ha prezzo.
(Fa.Cas.)
Il giochino del sostituto per ogni ruolo sarà anche rassicurante, ma resta troppo approssimativo. Il rimpiazzo dell'infortunato Lobotka si chiama Billy Gilmour, ma il suo gioco è diverso, come diverso è il Napoli. La Lobotomia ha prodotto conseguenze interlocutorie, poichè i tre punti aprono molte perplessità invece che dissipare i timori dell'assenza: la squadra subisce, riparte male ed in maniera confusa, non finalizza mai. Assisteremo senz'altro ad un nuovo episodio dell'eterna diatriba tra i pragmatici e "giochisti", ma sarebbe necessario innanzitutto chiarire cosa c'è di pragmatico in una vittoria colta per l'unico tiro in porta, quello dal dischetto, prima e dopo del quale non è stato apprezzabile nè un disegno tattico vincente, nè una padronanza di gioco in grado di giustificare uno straccio di merito. Perchè un conto è costruirsi la vittoria e poi privilegiare il risultato con concretezza operaia, ben altro conto è produrre il nulla, salvo poi difendere la ventura di un rigore a favore. Anche il pragmatismo più rude sottende -prima o poi- meriti concreti su cui speculare.
Lo straordinario merito azzurro, piuttosto, è quello che consente alla squadra -tra valori già sciorinati e folate di vento favorevoli- di volare in testa alla classifica nonostante i lavori siano dichiaratamente in corso. A Conte non può venir richiesta la perfezione in avvio di campionato, poichè nella rinascita il rodaggio è una fase obbligata e la brutta prestazione un male contemplato. La benevolenza assoluta con cui vengono mosse alcune obiezioni attenziona solo demeriti che sarebbero fatali con squadre più attrezzate. Il vero peccato si commette ignorandoli.
Come è impossibile sottovalutare i problemi legati a due protagonisti azzurri: Lukaku e Kvaratskhelia. Il primo è ancora alla ricerca di una condizione accettabile e della concretezza perduta. La sostituzione di Empoli è una bocciatura pubblica che può aprire un caso in grado di condizionare pesantemente il cammino degli azzurri. Per Kvara, invece, le chiacchiere infinite sul rinnovo del contratto nascondono (o vorrebbero giustificare) il reale problema del georgiano: la continuità. Un valore assoluto che l'amore del tifoso perdona e dimentica. Ecco l'atavico privilegio degli uomini-gol, mentre è grazie alla continuità della difesa che oggi Napoli torna a far festa. Questo è il calcio, con le sue stupide bugie.
(Fa.Cas.)
Quattro punti di vantaggio sulla seconda, per quanto provvisori, evocano suggestioni incontenibili. E l'esaltazione degli scenari più rosei viene amplificata dal bruciore di ferite non ancora chiuse, quelle della stagione appena passata, fatta di mortificazioni interminabili ed inattese. Il quadro psicologico con il quale Napoli abbraccia questo abbrivio è esaltante ma poggiato sul desiderio di una riabilitazione immediata. Ed è per questo che capire quanto ci sia di razionale nell'ebbrezza di oggi è esercizio dovuto, ma ingrato nei confronti di chi viene da un anno di sofferenze continue. Il tifoso va capito, ma anche il Napoli va inquadrato nella sua vera realtà.
Diciamolo subito: la squadra dimostra una concretezza disarmante. Passa in vantaggio dopo pochi secondi e lo riconquista pochi minuti dopo aver subito il pareggio. Assorbe i timidi tentativi di reazione e finisce l'avversario con un contropiede mortifero a quattro minuti dal termine. I comaschi difficilmente riescono ad entrare in area, i pericoli per Caprile sono ridotti al nulla, eccezion fatta per qualche conclusione da fuori, come quella che ha fruttato il pareggio. La partita, ridotta nei minimi termini offre spunti a senso unico: non c'è stata storia. La realtà dei fatti -però- racconta anche di un tempo totalmente ceduto al palleggio di un Como padrone del campo, nei confronti del quale -anche per la posizione avanzata di McTominay- il Napoli non ha saputo opporre resistenza alcuna, fino nell'epilogo annunciato, il gol del pareggio. Il "ma" di questa vittoria si incarna in questa lunga parentesi di passività durata un tempo intero - probabilmente assai indigesta per lo stesso Conte- ad opera di un manipolo di ragazzotti guidati da un mister rampante ed -evidentemente - assai capace. Facile supporre esiti diversi e ben altra gloria se il collettivo del Como avesse contato sulla malizia di qualche campione e su finalizzatori di valore ed esperienza superiori.
Ed è così che il punto, ora, è limitarsi a considerare la squadra azzurra come un organico assolutamente promettente ma in piena evoluzione, che non offre certezze che vadano oltre i valori già noti: la tenuta di una difesa di nuovo affidabile, la solidità di un centrocampo che ha trovato interpreti e ricambi di valore assoluto, la concretezza di un attacco esuberante per organico e prestazioni, seppur in attesa della migliore forma di Kvara e Lukaku. La perfettibilità è un affare in assoluto divenire, da concludere strada facendo con la cultura del lavoro che Conte adora. Sentirsi già arrivati può essere letale. Perchè la pressione che uccide, quella quotidiana, non viene dal Nord.
(Fa.Cas.)
Voglia di imporsi a parte, non erano i tre punti il vero obiettivo della trasferta a Torino. Sia per il Napoli che per la Juventus il discorso era diverso: verificare il grado di progressione sulla strada dei un rinnovamento profondo, che necessita di riscontri dal campo contro avversari di livello superiore. Per gli azzurri, poi, il processo è ancora più indaginoso, poichè c'era da chiarire il peso specifico degli ultimissimi arrivi ed il loro intervento sulla scelta del modulo. Ed è per questo che il malcelato buon umore di Conte è molto più significativo dalla moderata delusione mostrata da Motta: a reti bianche, gli azzurri tornano con certezze nuove e concrete, derivanti innanzitutto dall'esito dell'inserimento di McTominay: tecnica e solidità di gioco al servizio di un centrocampo finalmente a tre.
E' la conclusione di una telenovela dall'esito praticamente scontato, impossibile supporre che con cinque centrocampisti di livello (Anguissa, Lobotka, McTominay, Gilmour ed il reintegrato Folorunsho) il Napoli avrebbe finito per schierarne stabilmente solo due, a vantaggio del vecchio modulo che non può - per l'esiguo spessore tecnico dei due esterni di centrocampo- essere il valore aggiunto per giocarsi la zona Champions. Chiarita la grande concretezza del nuovo centrocampo, luci ed ombre provengono piuttosto da difesa ed attacco: nella giornata poco felice di Lukaku e di un impalpabile Kvara registriamo anche la sicurezza di una retroguardia che negli ultimi quattro turni (da quando Buongiorno è fra i titolari) ha subito solo una rete. E' innanzitutto questo il vero punto di rottura con le ultime disgrazie azzurre.
Dopo l'impegno in coppa Italia con il Palermo, gli azzurri sono attesi da quattro turni abbordabili (Monza, Como, Empoli e Lecce), che, potenzialmente, possono stabilizzare la presenza del Napoli nei quartieri alti della classifica. Conte sta percorrendo senza grossi affanni e con relativa tranquillità la strada dello studio e del rinnovamento, mentre alla quinta di campionato, il Milan e la Roma già dimostrano che la crisi è sempre dietro l'amgolo. In ottica Champions, certi destini prendono forma già ad inizio stagione. E' il modo più piacevole di consolarsi, nei mercoledì di coppa più malinconici.
(Fa.Cas.)
La vetta è provvisoria, ma qualche certezza è definitiva. Il Napoli visto Cagliari è una squadra che lotta, non si risparmia, sputa l'anima e soffre, se è il caso. Ed il risultato, puntualmente, arriva. La cultura del sacrificio è un patrimonio sul quale poggiare le basi solide della ripresa e non sorprende sancirlo oggi, poichè è il mantra a cui il Napoli si è votato fermamente, fin dall'arrivo di Conte. Ed è cosi che il popolo azzurro ricava certezze anche se si gioca "solo" con il Cagliari, poichè il metro di paragone, ancora fresco e sofferto, è l'atteggiamento remissivo e perdente della scorsa stagione, quella da Campioni d'Italia. Gli azzurri sono primi, ma coltivano ancora potenzialità in divenire: i nuovi arrivi devono ancora integrarsi, qualche registrazione tattica è in cantiere, diversi singoli mostrano miglioramenti oggettivi: è il caso di Meret, in eterna attesa della continuità che lo consacri, e probabilmente quello di Anguissa, che sembra ritrovarsi proprio nel momento il cui la sua titolarità vacilla. Potere delle motivazioni, o solo del circolo virtuoso degli organici che sanno riassortirsi e risorgere dalla cenere.
Il primo crocevia è a brevissima scadenza. Nel prossimo turno gli azzurri sono attesi a Torino, ma potranno giovarsi della settimana-tipo di lavoro, laddove la Juventus affronterà il primo impegno in Champions, destinato ad assorbire energie fisiche e nervose già fiaccate dalla grigia prestazione di Empoli. Insomma, nel programma della rinascita, la pratica sta confermando le teorie già previste, per il più semplice dei motivi: dall'arrivo di Conte in poi, scommesse ed approssimazione non abitano più a Castel Volturno. Il rimpianto è non averlo capito prima.
Ed è cosi che il filo logico porta naturalmente alle recenti esternazioni di don Aurelio, un uomo a cui è toccato il destino più curioso: incontrare iì favori del popolo dopo un fallimento, quello della scorsa stagione, molto più di quanto sia accaduto dopo il trionfo, quello dello scudetto. Sembra un paradosso, ma non lo è, poichè oggi l'uomo ha rinnegato sè stesso in termini di cifre investite, di scelta delle risorse umane (la caparbietà con cui ha inseguito Conte è innanzitutto l'espiazione di un fallimento), e perfino del modo di porgere il suo operato. I momenti di commozione hanno avvicinato De Laurentiis ai tifosi napoletani, uomini d'Amore. Sarà un copione studiato, ma poco importa. E' arrivato per cambiare Napoli. Dopo venti anni, forse è Napoli che ha cambiato lui.
(Fa.Cas.)
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Gli undici minuti di recupero di una gara folle ed irripetibile chiudono il periodo più balordo della stagione. I primi nove punti dell'anno, quelli assegnati a mercato ancora aperto, premiano (o penalizzano) progetti ancora in divenire, squadre senza fisionomia, percorsi ancora incompiuti. Il Napoli di fine agosto conosce il suo organico, ma può schierarlo poco e male, rischiando ritardi in classifica oggettivamente ingiusti. Ormai alla quarta di serie A, commentiamo ancora l'organico del passato, con almeno quattro pedine essenziali in fase di inserimento ed un modulo che fatalmente subirà gli assestamenti del caso. E' questo il grido di allarme che Conte si preoccupa di lanciare prima di ricordare meriti di una vittoria pazza quanto sofferta. Perchè i tre punti ci sono, ma non sappiamo ancora di che squadra parlare. Ecco la vera follia di agosto, tra contratti appena firmati e centravanti in lacrime.
L'unica cosa carta, ad oggi, è la compattezza di un ambiente mai unito come ora. Lo è perchè si è dapprima aggrappato alla figura vincente di Antonio Conte, il garante che fa del lavoro e della sofferenza il mantra ossessivo riconosciuto con soddisfazione dal popolo, e poi -contro ogni previsione- al fattivo impegno di un presidente che difende la sua piazza spendendo e abbracciando un principio di cuore. Perchè se i centocinquanta milioni spesi sanciscono oggettivamente un impegno fattivo (come non fu nella sciagurata stagione scorsa), è bene cogliere anche il valore simbolico nascosto nell'esito dell'affare Osimhen. Appiedare uno dei centravanti più forti del mondo nel rispetto di un principio, significa innanzitutto punire chi volta le spalle a Napoli ed alla sacralità della sua passione. La difesa dell'interesse economico azzurro si abbina -nei fatti- al fallimento di una presunzione ingrata. Per una volta, chi abbandona la gente è destinato a soffrire: è la soddisfazione intima che il tifoso può coltivare dopo tante delusioni d'amore. Questa rivalsa morale è il regalo di un uomo solo: Aurelio De Laurentiis.
Ed è così che la sosta di campionato diventa il reale spartiacque fra il Napoli che fu e quello che sta per nascere. Due settimane per crescere, formare il nuovo gruppo, verificare nuove identità di squadra. Dopo scenari lugubri e scelte fallimentari, ritorna l'ottimismo smarrito. In fin dei conti è semplice. Basta fare le cose per bene.
(Fa.Cas.)
Andò in scena il primo maggio, poco meno di quattro mesi fa, uno degli ultimi scempi di una stagione maledetta. Il Bologna passò al Maradona quasi passeggiando sulle rovine azzurre. Oggi, i nuovi protagonisti di Champions escono dal catino di Fuorigrotta bastonati oltre i loro demeriti: dallo 0-2 al 3-0 in un amen. Eppure, la stragrande maggioranza degli effettivi è la stessa. Tra titolari e subentrati, ben undici azzurri hanno giocato di nuovo, con ben altro risultato. Ma si tratta di merito, non di un prodigio del caso. Perchè la differenza -innanzitutto- l'ha fatta la dinamica del risultato: dopo dodici minuti, a maggio il Napoli era già sotto di due gol. Difficile rialzarzi per chiunque, figuriamoci per quella squadra. Primo, non prenderle. L'antico adagio spiega le devastazioni passate e motiva i nuovi successi, fornendo chiavi di lettura che rassicurano ben oltre l'enfasi dei gol da copertina. Da un anno mancava il clean sheet al Maradona. I titoli sono per chi segna, ma il Napoli oggi sa difendersi.
Sa anche cosa prendere, potrebbe dire qualcuno. Perchè durante la campagna acquisti più ricca ed avveduta della gestione De Laurentiis, non è difficile ricordare i pochi spiccioli spesi lo scorso anno per sostituire l'architrave della retroguardia tricolore, Kim. La madre di tutte le presunzioni condannò il Napoli già a settembre. L'oppurtuno investimento su Buongiorno e la velocità con cui è stato realizzato è il mea culpa su cui si poggia una nuova filosofia di mercato, di cui Conte -attenzione- è solo protagonista apparente. Perchè la rivoluzione concettuale deve aver pervaso (o oppresso) l'intimo di De Laurentiis, costretto a rivedere -considerati i mancati guadagni e la perdita di valore dell'organico- il vero peso specifico dei giocatori pronti e più costosi. Il Napoli di oggi (considerati gli arrivi in pectore) non si è affidato a scommesse al risparmio già nella scelta del tecnico e non ha nella plusvalenza l'unica virtù a cui votarsi. La misteriosa eccezione che conferma la regola è il solo Rafa Marin, giudicato non pronto proprio dalla persona che deve averne appoggiato l'acquisto.
Il Napoli di oggi registra il primo successo vero, ma non può ancora aprirsi a giudizi tecnici. L'assurda finestra di mercato che arriva alla terza giornata di campionato disegna scenari in grado di stravolgere l'identità di una squadra fino ad ottobre. Lukaku, Gilmour e McTominay (e forse un esterno a destra) possono riscrivere gerarchie, moduli e giudizi. Nel frattempo, su uno sfondo sempre meno appassionante, si agitano le presuntuose ambizioni di Osimhen, stella cadente in un mercato europeo che non ha mai fatto a pugni per averlo davvero. L'esilio arabo è boccone amaro per Victor e zucchero per chi coltiva l'amor di maglia. Povero calcio.
(Fa.Cas.)
A vederla oggettivamente, i conti tornano eccome. Il nuovo Napoli è lo stesso del vecchio, anzi ancor peggio: medesimi giocatori in campo -con l'eccezione dell'inconsistente Spinazzola- due top player fuori -Osimhen e Kvara, uscito prima del tracollo del secondo tempo- gli acquisti di nome non utilizzati -Buongiorno e, inspiegabilmente, Rafa Marin- il resto della truppa con le gambe imballate da una preparazione ormai epica e lunga da smaltire. Aggiungiamo che nel disegno teorico qualche cardine deve ancora essere acquistato e concludiamo ricordando il disvalore tecnico garantito da Juan Jesus e dalla palese inadeguatezza del povero Simeone: la figuraccia del Bentegodi sarà anche indigesta, ma è colma di presupposti perfino banali.
Conte tiene a metterci la faccia, chiede scusa per la vergogna e professa umiltà. Mentre lui fa la sua parte, il tifoso ha il dovere di ragionare con distacco ed intelligenza: ci ritroviamo oggi a giudicare una squadra molto più penalizzata da tempistiche assurde che non dalla stretta programmazione: il Napoli di oggi non è quello progettato da mesi. E non sarà quello definitivo, poiché i dieci giorni che ci attendono saranno cruciali nei destini di questa stagione.
Tutto porta al peccato originale, l'affare Osimhen, tuttora difficile da inquadrare perchè, incredibilmente, alcuni passaggi della sua attuazione sono stati sottovalutati. Possibile non ipotizzare problemi per il pagamento di una clausola così alta? Possibile non immaginare i danni di una campagna acquisti affrontata in ritardo? Possibile -infine- ignorare il pericolo di una permanenza forzata? E non solo: l'assoluta mancanza di piani alternativi (a fronte di evenienze prevedibili) semina perplessità anche nei rapporti don Aurelio ed Antonio Conte, che avrebbe implicitamente accettato le stesse tempistiche di pianificazione di cui oggi -come vittima- sembra lamentarsi. Troppe cose quadrano poco in un contesto di eventi affrontati con una superficialità inspiegabile e quasi infantile.
(Fa. Cas.)
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