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L’allenatore deve essere al tempo stesso maestro, amico e poliziotto.

                (Vujadin Boskov)

 

  Il  tifoso si sfoga

Quanta ingratitudine

A volte sembra strano che la gente non capisca. Dopo un anno catastrofico, Conte e De Laurentiis hanno creato una squadra che sta lottando per lo scudetto, eppure ci sono sempre gli eterni scontenti. A Napoli non troveremo mai pace.

Franco Russo - Napoli

 

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    E' il pareggio che non ti aspetti, perchè ti rifiuti di immaginarlo: il Napoli in piena corsa per il titolo si incaglia in laguna, in barba a calcoli, progetti, tabelle e previsioni di ogni tipo. Nessuno nega il consistente numero di palle gol e l'epico pomeriggio del portiere veneto, ma addebitare la frenata alla cattiva sorte sarebbe la negazione di una realtà che ha visto una squadra confusa, asfittica, senza la cattiveria dei momenti decisivi. Il 3-5-2 di Conte funziona poco per la cattiva vena di Politano, perchè il doppio playmaker aiuterebbe la ripartenza, ma è inconsistente nella trequarti avversaria, perchè il Napoli soffre troppo la pressione veneziana nella sua metà campo. Nel primo tempo le occasioni fioccano, ma sono soltanto conclusioni di testa su traversoni lunghi, non il prodotto di geometrie efficaci. Dal centro non si sfonda, il gioco sulle fasce produce poco anche perchè il nuovo modulo penalizza le incursioni di Di Lorenzo, braccetto con troppe responsabilità in difesa. Il Venezia ha gia incassato 42 reti, ma resiste al Napoli. Avvilirsi è il minimo.
    I rilievi tecnici non mancherebbero, ma sono le impressioni complessive ad abbattere il tifoso. Giunto al quinto pareggio in sette partite, il Napoli sembra oggi in chiaro affanno, nonostante i segnali positivi dello sorso turno in casa. Sembrerà ragionevole, dopo la sosta, tornare alle certezze consolidate del 4-3-3, alla prestanza fisica di una mediana di assalitori, agli strappi del ritrovato Neres, ad una alchimia che  -in un modo o nell'altro- ha prodotto sicurezze e primato. Ma queste fluttuazioni tattiche nascondono, probabilmente, gli imbarazzi di una squadra imperfetta nella costruzione e -forse- in debito di talento, se l'obiettivo è la vetta della classifica. Il Napoli ha ritrovato la vena di Raspadori ma è destinato a interrogarsi in eterno su Lukaku. Un investimento da trenta milioni che qualche volta aiuta, ma raramente fa la differenza nei momenti decisivi, come a Venezia.
    Occorrerebbe dirsi la verità: oggi non è facile prevedere una ripresa immediata nel gioco e nei risultati. La sosta del campionato cade nel momento giusto, ma toccherà a Conte trasferire alla squadra il carattere necessario. Sarebbe l'ennesimo miracolo in una stagione insperata, dopo un anno da protagonisti e la zona Champions ormai in ghiaccio. Comunque vada, già molto per cui ringraziare.

(Fa. Cas.)
   

 
   
Era il giorno dei tre punti. Cinque partite senza vittorie sono un disvalore evidente, quando si punta al titolo. Il Napoli cancella le perplessità con una prova autorevole, ma non autoritaria per tutta la gara. Lavoro e sofferenza sono il mantra predicato e applicato: non sorprende che gli ultimi minuti col fiato sospeso rientrino in un copione fatto di entusiasmo e batticuore. Conte ama ricordare lo spirito di adattamento col quale la squadra affronta le avversità e sviluppa nuove attitudini. Ed ora, dopo aver raccolto meriti con la veste del 3-5-2, sarà interessante vedere come e se il Napoli tornerà al vecchio modulo, adesso che Spinazzola e soprattutto Raspadori hanno giocato la gara migliore. Jack va ancora in gol, Lukaku segna e fornisce l'assist per il raddoppio: sono i fatti a dire che qualche vecchio nodo si sta sciogliendo. La Fiorentina cola a picco, l'Inter sente il fiato sul collo: il Napoli non molla la presa, inutile sperarci.
    Gli umori della città sono intensi e contrastanti, come si addice ad una metropoli dal bacino di utenza sconfinato. Da un lato, il nono “tutto esaurito” al Maradona dimostra nei fatti che la gente crede alla serietà progetto ed al carisma di chi lo guida. Il popolo avverte l’abnegazione con ui Conte affronta il lavoro quotidiano, poiché, come era facile prevedere già dall’estate scorsa, il tecnico appare una sorta di garante eternamente applicato sull’obiettivo.  E’ una certezza che oggi fa leva anche sull’evidenza -apparsa chiara domenica dopo domenica ed ancor più palese dopo l’addio di Kvara- che il Napoli non dispone della migliore rosa. La lotta per il titolo è la prova già provata che il quid garantito da Conte compensa gap tecnici importanti che il Napoli, per sua dimensione e struttura, non potrebbe colmare. Sull’altra sponda, gli eterni insoddisfatti che considerano lo scudetto un traguardo dovuto (od ampiamente alla portata), ignorato o snobbato da una società proiettata solo al proprio profitto. L’ipotesi che il Napoli abbia volontariamente rinunciato un rafforzamento invernale, insinuata da qualche giornale del nord e raccolta da una discreta fetta dei tifosi, dimostra come l’autolesionismo fine a sé stesso è un male atavico e difficilmente eradicabile in una città già vittima dalla cultura del sospetto. Una malerba che la sana passione azzurra non ha mai meritato.
     Il rischio è anche godersi poco (e male) un finale di campionato che vede l’Inter convincere poco proprio nel momento in cui deve affrontare in sequenza ravvicinata impegni durissimi. Gli azzurri, viceversa, dovrebbero contare a breve sulla rosa al completo e su un calendario che entrerà in discesa. Se per Conte è arrivato il momento di uscire allo scoperto, non si tratta solo di una maturazione dei tempi, ma di coscienza delle proprie possibilità. Sarebbe il caso che nessuno pensasse ad altro.

(Fa.Cas.)

 

    Il dolce retrogusto della vittoria raramente appartiene ad un pareggio. Più che un sapore, è uno stato d'animo che riscalda quando il risultato conta, ma resta un fatto secondario. Dopo qualche delusione, a Fuorigrotta in palio c'era ben altro che i tre punti. C'era la credibilità di un progetto appena nato, la rinascita dopo la mortificazione, la dignità di un entusiasmo ritrovato. La posta morale ha fatto della sfida con l'Inter un punto di non ritorno potenzialmente più definitivo di un eventuale ritardo in classifica. E nella resa dei conti, la dinamica della partita ha perfino aumentato la pressione emotiva, poichè ha profilato la sconfitta come una ingiustizia immorale. La reazione allo svantaggio ed il pareggio all'ultimo respiro sono la rivendicazione di una dignità da leader: ecco perchè i tre punti, al cospetto, restano banale matematica. Oggi sappiamo che Napoli c'è.
    Dopo un pomeriggio da leoni, la squadra si riappropria della sua identità trovando risposte proprio nelle questioni più spinose. La tenuta atletica ha retto fino alla fine - a dispetto dei recenti cattivi ricordi- proprio quando Conte è stato costretto a ridisegnare formazione e modulo in funzione delle assenze. Nell'attesa dei rientri eccellenti, Gilmour e Billing offrono garanzie insperate. Il primo apre nuove prospettive di modulo  dimostrando i vantaggi di un doppio playmaker, il secondo, dopo il buon esordio a Como, ha firmato un pareggio pesantissimo. La prestazione con l'Inter è un prezioso insegnamento: Conte è in grado di reagire a derive pericolose trasferendo immediatamente slancio e motivazioni. Il carattere resta un valore aggiunto su cui puntare nei momenti difficili. Don Aurelio lo sa ed assiste impassibile alla rimonta azzurra: doveva esserci più convinzione che forma nel suo tweet dopo la sconfitta di Como.
    Con assoluta oggettività, il futuro azzurro appare roseo. La corsa allo scudetto diventa la conta (o il conto alla rovescia)  degli scontri di cartello. Fiorentina e Milan in casa, Bologna fuori: il calendario è relativamente morbido ed in discesa nelle ultime sette gare, laddove l'Inter dovrà fare i conti con tre fronti aperti (Campionato, Champions League e Coppa Italia) e con diversi big match in Italia (doppio derby, l'Atalanta e poi entrambe le romane). Il capolavoro di Conte è ormai nella gestione di forze fisiche ed emotive. Basta remare insieme, con calma, verso un unico traguardo.

(Fa.Cas.)


 

    Dodici giornate al termine, una infinità. Un intervallo visto come un ostacolo, divenuto ora un prezioso alleato. Nulla si può decidere con tanto anticipo, soprattutto per una squadra che oggi deve lottare con le assenze, i difetti di organico e perfino con le diffide. La coperta corta del Napoli scopre i piedi a Como, ma il tifoso resta amareggiato, non sorpreso. Non che fosse preparato al peggio, ma solo cosciente che le emergenze sono pane indigesto, una specie di mannaia che cala all'improvviso e senza scampo. Perchè quando tocca inventare, tutto diventa un terno al lotto.
   Spostando l'attenzione su fame e cattiveria smarrite, Conte avoca a sè le responsabilità e rovescia la delusione su argomenti gestibili nello spogliatoio. E' una sorta di rassicurazione per l'ambiente e di protezione per la squadra, poiché la gente conosce le sue qualità di motivatore e spera in miracoli già celebrati. Nella realtà, una volta di più, il Napoli affoga nel suo peccato originale: la mediana, possente ma povera di tecnica, regge e pressa  brillantemente fin quando è fresca, ma cede il passo col fiato corto, finisce col subire e piegarsi all'avversario. E' così che Napoli termina la partita affidandosi agli spunti di Spinazzola ed ai tentativi solisti di Okafor: non c'è altro da fare, semplicemente perchè non ci sono i piedi adatti. Non ci sono nè Kvara nè Neres, in grado di rovesciare il fronte e inventarsi il colpo letale. Non c'è Politano, novello quinto di centrocampo, preoccupato più di coprire che di offendere, nella sua mattinata incolore. E non c'è nemmeno Anguissa, che zompetta imbelle e terrorizzato da una diffida che gli ha sottratto gli attributi. Il suo ingresso controproducente è la beffa che suggella la catastrofe.
    Mortificato nel carattere e ridimensionato agli occhi dell'opinione pubblica, il Napoli affronta una settimana di passione sapendo che può giocarsela solo al gran completo. Se il lungo sprint che porta al traguardo è in chiara discesa nelle ultime sette giornate, non resta che stringere i denti e giocare sui calcoli. Perfino il pareggio nel big match con l'Inter donerebbe agli azzurri un punto prezioso che non allontana dal vertice.
   Nello sconforto, arriva il tweet Don Aurelio, che stavolta ha piglio e tempismo da autentico capopopolo: "Non è un punto in meno dall'Inter che ci deve spaventare. Noi siamo una grande squadra, con un grande Allenatore". Con la A maiuscola, notate bene.  De Laurentiis coccola Conte e scalda i cuori nel momento più triste, mentre i tifosi hanno un solo dovere: non dimenticare mai da dove sono ripartiti.

(Fa.Cas.)

    Piccole delusioni, una grande consapevolezza. Gli ultimi snodi della stagione passano attraverso i dispiaceri degli minuti finali ed una consapevolezza sul tecnico che prende corpo giornata dopo giornata. Quest'ultima è una costante, rispetto all'anno scorso, ma di segno opposto: mentre nel passato campionato la scelta di Garcia apparve subito come un errore, questa volta la coscienza del peso specifico di Conte si fa più nitida a mano a mano che l'organico palesa i suoi limiti. Il Napoli difende con i denti il primo posto, ma lo fa con la tigna, il carattere ed i dettami della sua guida, visto che l'emergenza attuale ed alcuni peccati originali non rendono la sfida scudetto una pura questione di qualità: tocca a Conte colmare la differenza e mettere il muso davanti.
    In realtà, il limiti di oggi sono sempre stati presenti. Il rendimento degli azzurri è legato a filo doppio con quello del centrocampo, un terzetto solidissimo fatto "di assalitori, non di costruttori" - come ieri Conte ha definito McTominay ed Anguissa- e da un virtuoso del palleggio, Lobotka, che nella migliore delle ipotesi agisce a venticinque metri dalla porta avversaria. La mancanza di gioco, una obiezione che aleggia con puntuale regolarità, è la banale conseguenza delle caratteristiche di questo trio, poderoso, ma in debito di tecnica e fantasia negli ultimi venti metri. Il Napoli ha superato l'impasse di inizio stagione grazie al formidabile estro delle sue ali (Politano, Kvara prima e Neres poi) ed alle percussioni dei centrocampisti, spunti nelle loro corde, ma di fatto elementi episodici e non fondanti nella stretta qualità del gioco. La forma e la tenuta dei singoli ha fruttato la vetta, ma le contrarietà erano -purtroppo- dietro l'angolo.  Oggi, la necessità di cambiare modulo, in un solo colpo ha privato gli azzurri del vitale apporto degli esterni di attacco, ha riproposto le carenze (o le assenze) dei quinti di centrocampo ed ha riportato l'attenzione sui limiti degli "assalitori", straordinari nell'aggressione, ma molto meno portati a costruzione e rifinitura. La storia del 5-3-2 di oggi, raffazzonato ma imbattuto, è il racconto delle capacità di un tecnico che sa cavare acqua dai sassi con il piglio del primo della classe.
    E' questa la fotografia del Napoli odierno, che festeggia il titolo di campione di inverno proprio mentre la gente comincia a chiedersi se la rosa azzurra sia davvero tra le migliori. Aggrappato allo stato di salute (e di forma) dei suoi uomini di punta, il Napoli si gioca il titolo tra l'infermeria ed il rettangolo verde e senza il vantaggio dell'impegno su un solo fronte, poiché deve preoccuparsi dell'usura dei suoi titolarissimi, inopinatamente consumati da un ricambio che non c'è. I giochi di mercato restano un rimorso perfino nell'anno in cui De Laurentiis ha speso di più. Dopo questa beffa, Conte è chiamato al miracolo, ma non tutti lo vogliono capire.

(Fa.Cas.)
 

 

    Un pareggio che amareggia quanto una sconfitta. Non nei termini numerici, quanto per il significato: il Napoli conosce uno stop di rendimento sensibile e preoccupante, che prosegue il black out del secondo tempo a Roma e fa da pessimo preludio alla prossima sfida con la Lazio. E' una di quelle gare dove il collettivo, senza eccezioni, difetta in qualità ed agonismo. Il coro stecca ed il pensiero corre veloce verso ipotesi di flessione fisica e mentale. Il motore non deve andare fuori giri, precisa Conte, ma fa un certo effetto vedere il Napoli soffrire proprio sul terreno che dovrebbe favorire gli azzurri rispetto alle rivali impegnate in Europa. La rinuncia a Buongiorno ed il forfait di Spinazzola sono solo riferimenti ai singoli che accompagnano la delusione ma non possono spiegarla. Se nel secondo tempo il Napoli macina gioco improduttivo e non c'è un solo tiro in porta, la sofferenza è profonda e coinvolge tutti.
    Quando è il campo a parlare, tendono naturalmente a spegnersi i commenti sul mercato invernale. Il tifoso si rituffa nel campionato con la sgradevole sensazione che la pianificazione societaria e i successi di Conte non vadano di pari passo. Da una parte, alcune banali imperfezioni nella comunicazione: al termine del mercato: in molti hanno temuto (o sperato, se parliamo delle sponde settentrionali) che l’infelice chiusura avesse spinto Conte verso i primi dissapori con la proprietà. Una ipotesi destabilizzante che ha alimentato per diversi giorni le discussioni sui media, provocando un disagio plausibile e distruttivo. Il Napoli non si è affrettato a chiarire un bel nulla, nemmeno nel corso della chiacchierata di Manna con la stampa, nella quale la questione è stata solo lambita. Ci ha pensato Conte, ma soltanto dopo alcuni giorni, al termine una corrosione emotiva francamente evitabile.
    Dall’altra parte, la morale sull’ennesimo mercato gonfio di intenzioni ma povero di risultati. Fatta salva la decisione di non piegarsi a richieste fuori portata e fuori logica, ci sarebbe un dettaglio su cui discutere. Perchè parlare di tempi stretti è facile, ma molto più difficile è accettare l’incongruenza che pochi hanno notato: quella che ha visto Manna impegnarsi per un solo mese, quello di gennaio, mentre le manovre sotterranee del PSG proseguivano -come Conte ha sottolineato e molti tifosi supponevano- fin dall’estate scorsa. Se le trattative erano da mesi note nell’ambiente ed il famigerato articolo 17 della FIFA già profilava la minaccia del ricatto, a Manna sarete toccato muoversi in grosso anticipo e con ben altra fattività. Se la mancanza di tempestività ed il difetto di scaltrezza sono elementi che il popolo napoletano non può riconoscere nella sua natura, figuriamoci la reazione pubblica alla vicenda Kvara, quasi mortificante nelle sue dinamiche: è come se un marito, di fronte alla infedeltà della moglie, si decidesse a cercare una nuova compagna solo dopo che la consorte è scappata di casa con l’amante, restando per giunta solo. Se i parigini l’hanno fatta sotto il naso, sarebbe il caso di porsi qualche domanda seria. Cospargersi di cenere sarà anche dignitoso, ma raramente porta al successo.

(Fa.Cas.)

   

   Cinquantatrè punti. Quelli dell'intero anno scorso, ma in diciassette gare. La spiegazione dell'ennesima impresa è nei numeri, prima ancora che nella cronaca di un pomeriggio epico al Maradona. Perchè ciò che ha messo in ginocchio la vecchia Signora non ha nulla di nuovo rispetto a quanto visto fino ad ora: carattere, caparbietà, voglia di imporsi. Lo spirito di Conte ha permeato un gruppo oggi solidissimo, che non si piega alla prima contrarietà e combatte fino alla vittoria. Nessuno parla del bel gioco azzurro, poichè -ormai è chiaro- non è con il gioco che il Napoli domina il campionato. Organizzazione, sacrificio e una straordinaria tenuta atletica fanno degli azzurri un gruppo indomabile che ormai va ben oltre ciò che ci si aspetta: le vittorie con Atalanta e Juve superano le previsioni più rosee e spazzano via i limiti imposti dalla ragionevolezza. Non ci sono uomini di copertina, non esistono reparti in affanno. A questo Napoli più nulla è precluso.
    La partita di Bergamo ha definito gerarchie precise, oltre, probabilmente, al primo verdetto: difficilmente l,’Atalanta ritornerà in corsa per il titolo. Il punto è che sta prendendo forma in maniera finalmente concreta il previsto vantaggio del Napoli, quello di non disputare le coppe europee. Se la rosa interista riscuote attualmente i maggiori consensi, è anche vero che il numero superiore di impegni, le energie mentali drenate dalla Champions e, ovviamente, l’attuale ritardo “tecnico” in classifica determinano uno stato di apprensione difficile da gestire nel lungo termine. L’ansia di non poter, sbagliare è destinata ad aggredire la rosa interista molto più di quanto non succeda a Napoli, poiché l’ambiente azzurro oggi può essere minato da un solo pericolo: il senso di pressione trasferito alla squadra da quella fetta di tifosi per i quali lo scudetto è già un obbligo morale. Una aspettativa ingiustificata, controproducente e probabilmente irrispettosa verso chi ha ripreso a pianificare investendo su risorse economiche e su step dei progressione. Maneggiare con entusiasmo contenuto questo passaggio della stagione (ed il suo esito finale) è la vera prova di maturità richiesta al popolo azzurro.
    In realtà, i riflessi di un atteggiamento misurato sono già percepibili negli umori che accompagnano il calciomercato invernale. Da una parte l’entusiasmo per il nome di grido, dall’altra la consapevolezza -molto diffusa- che spendere oltre il dovuto è un peccato evitabile, che potrebbe ripercuotersi sul futuro della squadra. Al di là della sostituzione “numerica” di Kvara, le necessità azzurre si limitano -se vogliamo- ad una semplice logica dl rimpiazzo. E’ un po’ come discutere sul superfluo ed investirci su, poiché la formazione titolare è ormai cristallizzata nelle scelte tecniche e non subirà cambiamenti dopo il 3 febbraio. Vale la pena svenarsi per concedersi un lusso? Perfino la smisurata fame di successo di Conte ammette l’esistenza di una seconda strada: la ragionevolezza.

(Fa.Cas.)

    Ed ora nascondersi diventa difficile, anzi impossibile. Il bottino dei pirati di Bergamo non è più solo un affare da prima pagina. E' una eclatante rivendicazione di superiorità che non può essere più nascosta da dichiarazioni di circostanza. Nelle chiacchiere di fine gara, Conte appare corrucciato: la felicità non è concessa, poiché esprimerebbe la rilassatezza per il  traguardo raggiunto, un veleno per lo spogliatoio. Ma migliaia di tifosi a Capodicino esprimono uno stato d'animo incontenibile ed evidente: il Napoli domina il campionato, contro ogni avversità. La Dea è a sette punti, solo l'Inter, indietro di sei ma con due gare da disputare, può resistere all'impeto azzurro. La meraviglia che accompagnò il fallimento di una squadra campione si rinnova oggi, ma è di segno opposto. E quanto più stupisce, tanto più sottolinea i meriti di Antonio Conte, un uomo per il quale andrebbero riscritte le percentuali di incidenza di un tecnico sulla sua squadra. Otto dei titolari dello scorso anno erano in campo a Bergamo, eppure il Napoli torna a dominare. Le alchimie dello spogliatoio e di chi lo comanda restano un mistero affascinante e decisivo. E' questo il vero messaggio degli ultimi tre anni di Napoli.
    "Con me ogni calciatore migliora". Uno slogan precampionato? Macchè. Di Lorenzo, Rahmani, Juan Jesus ed Olivera hanno passeggiato sui confini del ridicolo per una stagione intera. Oggi, il solo McTominay rinforza vigorosamente la mediana che doveva proteggerli. Ma il Napoli è un altro. Una squadra capace di contenere ed offendere quando vuole, compatta, reattiva e impietosa. Un unico fascio di muscolo e nervi contenuto in venti metri di campo. Un manipolo di dannati che combatte per novanta minuti, mentre il miglior difensore italiano smaltisce una frattura ed il centravanti è ancora alla ricerca della migliore condizione. Rabbia e condizione fisica non bastano a spiegare il prodigio di una squadra resistente ad infortuni e privazioni. Uno stato di grazia ha sempre spiegazioni molto serie.
    L'affare Kvara resta ai margini di questo grande successo, poiché tanto merita. Sullo sfondo, c'è l'eccesso di affetto riversato su beniamini che non possono ricambiare, perchè il calciatore nasce mercenario e muore dimenticato.  La misura di appartenenza è la moneta, l'attaccamento ai colori dura il tempo dell'esultanza dopo un gol. Questo squilibrio di sentimenti genera drammi popolari, ma ciò che conta (e resta) è la gestione economica della fuga. Il Napoli ricava settanta milioni dalla vendita di un calciatore demotivato e lontano dalla città ormai da mesi. Don Aurelio  non ha mai pagato un euro in più rispetto al primo contratto, evitando costi inutili per un giocatore in disarmo, già in accordo col PSG e destinato ad un ridimensionamento in panchina che ne avrebbe diminuito anche il valore. Non solo: lo scarso rendimento dell'ultimo anno (e più) insinua il sottile piacere del pacco rifilato con perfetta scelta di tempi. C'è abbastanza per riderci sopra, mentre i pirati azzurri si aggirano indisturbati nel settentrione.

(Fa.Cas)

 

  

 

    Kvara, Politano e Buongiorno in infermeria. Se all'inizio dell'anno avessimo ipotizzato la trasferta di Firenze con queste tre assenze, un pareggio avrebbe soddisfatto tutti. Oggi, Conte ed il suo Napoli tornano dal Franchi con un sonante tre a zero, un segnale al campionato che -oggettivamente- definisce il Napoli come una realtà solida oltre ogni assenza. Una squadra cinica che sbrana l'avversario alla prima incertezza e non concede nulla, poichè il contismo ha risultati in linea con il suo credo: tutti i giocatori migliorano di livello, tutti contribuiscono alla causa, il gruppo è compatto nell'intensità e nella sofferenza. Perfino il rendimento di Lukaku, croce di Conte delle conferenze stampa come dei tifosi durante la gara, diviene affare secondario e trascurabile. E' il miracolo di una squadra che supporta chi è in ritardo fino ad esaltarne le poche giocate felici.
   Mentre brilla la stella di Neres, un tipetto che può accusare qualche pausa ma ha ripartenze letali, viene da chiedersi a quali mirabilie potremmo assistere se solo Kvara fosse all'altezza delle aspettative che la gente ancora ripone in lui e Politano non soffrisse di ricorrenti problemi fisici. Negli equilibri del Napoli ha trovato spazio anche il discusso Spinazzola, che contiene e propone con la gamba di chi è impiegato poco. Olivera disputa una delle sue migliori gare in azzurro, mentre perfino Juan Jesus mostra la sicurezza smarrita al fianco di un Rrahmani nella sua forma ottimale. Non ci sono falle in una difesa in costante trance agonistica.
    Quarantaquattro punti al termine del girone d'andata (sedici in più dello scorso anno) sono la scommessa che in pochi avrebbero sottoscritto in agosto. Complici i capricci di un calendario devastato, il Napoli chiude primo. Campione d'inverno provvisorio? E' una posizione comunque privilegiata, se è vero che il compito di chi insegue è sempre scomodo ed affannoso. Il potere logora chi non ce l'ha. Per il momento, è un problema tutto lombardo.

(Fa.Cas.)

 

    "Con squadre di livello interiore dipende solo da te. Dobbiamo andare e prenderci  tre punti". La filosofia è semplice, il livello di responsabilità alto. Prima del Venezia Conte aveva le idee chiare, come ormai la maggior parte dei tifosi che ha vissuto questa gara interna come una lunga prova di pazienza. Il dominio è azzurro, anche se la squadra rumina gioco, costruisce con difficoltà palle gol e fallisce fin troppe occasioni. Alla fine, è una questione di caratteristiche: la linea di centrocampo è muscolare, non ha elementi che saltano l'uomo e creano superiorità. La profondità si ottiene solo sulle fasce, dove lo spaesato Kvara e il rampante Neres seminano panico e raggiungono il fondo campo. La zampata di Raspadori conquista le copertine, ma corre il rischio di coprire la superiorità con la quale il Napoli ha gestito la gara. Una prova autoritaria ma spesso sterile che avrà altre repliche, poiché è il copione obbligato dei suoi attori poderosi e ruvidi. Ma il Napoli è primo, e tanto basta.
    Nel frattempo, Conte non smette di esortare la squadra a superare sé stessa. La perfettibilità è una questione quotidiana, nell’anno solare che ha visto il Napoli risorgere dagli inferi alla vetta della serie A. Che i risultati siano in pieno divenire non v’è dubbio, ma dobbiamo chiudere l’anno con la preziosa convinzione che la gestione Conte ha mantenuto tutte le sue promesse. Il tecnico non firma per il piazzamento Champions e trasmette all’ambiente la sua fame di gloria, mentre sarebbe interessante capire se le sue aspirazioni sono realmente legate a questioni di principio o vengono piuttosto motivate dalla consapevolezza che il gruppo sta crescendo domenica per domenica.
    Far cogliere significati reconditi è uno degli obiettivi di Conte. Accarezza i sogni degli appassionati che vogliono \un tridente con Kvara e Neres, ma lo schiera solo per la convalescenza di Politano, simbolo della concretezza obbligata delle sue scelte. Quindi, stupisce i tifosi proprio nel momento grigio di Lukaku, definendo la sua condizione “al top”. Il messaggio è sottile ma significativo. Qualora dovesse continuare a far discutere nonostante uno stato di forma dichiarato al vertice, sarà ovvio concludere che nulla di più è lecito aspettarsi e che il suo apporto rappresenta un minus dal quale il tecnico è costretto a svincolarsi. Insomma, un punto debole inatteso ma riconosciuto, che da una parte giustificherebbe un potenziale fallimento, mentre dall’altra individua con precisione la pedina da sostituire. Perché il cinismo dei vincenti non ammette bugie, né raccomandazioni.

(Fa.Cas.)
 

    Se il portiere è il migliore in campo, qualcosa non quadra, perfino nella vittoria. Le mani di Meret sul successo del Napoli: è la morale che piace poco al Conte felice e corrucciato del dopo partita. Ecco la reazione del vincente, di chi insegue la perfettibilità anzichè enfatizzare i meriti discutibili di una vittoria dai due volti. Troppo semplice sottolineare il primo posto, troppo comodo evidenziare i risultati pratici del nuovo corso. I media concederebbero onori e sorrisi, ma il messaggio di Conte è l'ennesima rottura con un anonimato fatto solo di propositi ed autocelebrazioni. La disamina del tecnico è soprattutto il monito ad un gruppo che non può sedersi a risultato raggiunto, che ha mollato nonostante i moniti dell'intervallo, che ha sottovalutato ambiente ed avversario. Il cammino verso il successo è un percorso mentale, non la somma matematica dei punti in cascina. L'indulgenza verso sè stessi è il veleno da evitare: il contismo è materia ostica ma faticata quanto il sudore dell'allenamento. 
    E dire che le note positive non mancherebbero. Un primo tempo autoritario, a tratti spavaldo. Due reti segnate con la convinzione di chi reclama la propria superiorità. La prima metà del Napoli è l'immagine dei sogni del tifoso, turbati solo dalla forzata presenza di Juan Jesus (che continua a muoversi difendendo la porta e non attaccando l'uomo libero) e dal ballottaggio Kvara- Neres, uno di quei dolci tormentoni che -comunque si risolvano - sottendono meraviglie e gol. L'immagine vincente è quella di un centrocampo muscolare, così solido da compensare l'infinita attesa del miglior Lukaku, l'oggetto misterioso che Conte protegge e dimentica ad arte nei suoi verdetti rudi. La regolarità di oggi è il fieno in cascina di domani. L'occhio alla vetta distoglie da calcoli più pragmatici che guardano alla distanza dal quinto posto, la sottile linea rossa che separa l'ambizione dal ridimensionamento. La gente sembra disinteressarsene, ma è proprio questa la misura oggettiva del successo di Antonio Conte.
    La bella copertina di oggi ha la timida espressione di Alex Meret, un tipo a cui vanno riconosciuti i meriti e la perseveranza, pervenuti -ricordiamolo- dopo un privilegio raramente concesso in ruoli così delicati: l'attesa. Il portiere protagonista di oggi ha vissuto stagioni altalenanti e momenti di grande impopolarità. Dal 2018, la difesa di Meret -ammettiamolo pure- ha coinciso più con la salvaguarda di un investimento che non con quella del merito sancito dal campo. Adesso, il Napoli raccoglie i frutti di una fiducia cieca. Oggi festeggiamo pure, ma non dimentichiamo mai il dazio già pagato. Se volete, chiamatela coerenza.

(Fa.Cas.)
   

    Nell'era di Antonio Conte, il Napoli potrebbe ricordare Udine come lo snodo più significativo della gestione. Il condizionale è imposto dalla cautela, ma la squadra, nel momento di fragilità emotiva seguente a due sconfitte, ha risposto in maniera convinta e -soprattutto- convincente. Il percorso è tutt'altro che completato: la trama resta macchinosa, gli azzurri ruminano gioco e con estrema difficoltà producono palle gol, ma l'autorità con la quale il Napoli ha tenuto le redini della gara (nonostante il provvisorio svantaggio) è un eloquente segnale di crescita che conforta nel lungo termine ben più dei tre punti appena raccolti. Romelu Lukaku resta l'eterna croce e la timida delizia di una squadra in cui si è inserito poco e male, mentre brilla il contributo di David Neres, un tipo che può tornare molto utile nell'unica logica che accomuna le grandi squadre, quella dell'alternanza. Una eventuale vittoria a Genova consoliderebbe le certezze ritrovate, proiettando definitivamente gli azzurri verso il solo traguardo indispensabile: la zona Champions.
    La doppia sconfitta con la Lazio ha almeno avuto il merito di chiarire a buona pare dei tifosi che pensare di continuare a vincere in eterno con un gioco poco convincente era solo una pia illusione, così come lo era poggiare fondate ambizioni di scudetto su un primato acerbo e sempre tormentato. L’oscillazone degli umori popolari resta un problema per una città che spera di riprendersi un carico di gloria svanito troppo presto e velocemente. In questo senso, il pragmatismo di Conte ed in suo amore per la concretezza hanno remato nella direzione sbagliata, portando la gente ad illudersi che i risultati raggiunti fossero l’incontestabile punto di arrivo (già ad novembre!) dei disegni di un tecnico che bada solo al sodo. Questa suggestione subdola  (puntualmente alimentata dagli opinionisti che fanno della compiacenza il loro eterno obiettivo) ha trovato la sua forza in un solo merito: la tenuta difensiva. La base di ogni impresa ed il più palpabile dei successi ascrivibili ad Antonio Conte. Che da solo non basta.
    Nulla è possibile se il cinismo non si associa ad una una valida proposta di gioco. Nel lungo percorso della stagione, l’errore sarebbe avvertire la fretta di raggiungere quanto prima questo risultato. L'obiettivo dichiarato - la zona Champions-  ha bisogno di regolarità, non di concitazione. Dimenticarlo significherebbe introdurre veleni e pressioni inutili proprio nel momento della ripresa. Qualcuno sostiene che i primi quattro posti rappresentano il minimo, visti gli investimenti sostenuti nel mercato estivo. Un discorso oggettivo se solo il calcio fosse una scienza matematica. La verità -invece- è che spese ingenti rappresentano più il manifesto dei propositi che non una assicurazione sui risultati. Il silenzio d’oro di don Aurelio è cominciato proprio lì, a ragion veduta.

(Fa.Cas.)

   

 

    L'incantesimo prosegue, tra qualche mugugno, un velo di diffidenza e tonnellate di concretezza. Il brutto Napoli fa il corsaro anche a Torino e difende il primo posto con autorità. La firma è scozzese, ma il gioco all'italiana giganteggia. La squadra capolista offre ai suoi tifosi sensazioni contrastanti: da un lato, la consapevolezza che gare come questa possono essere rovinate dall'episodio -magari fortunoso- all'ultimo respiro. Dall'altro, una sicurezza consolidata: partite simili il Napoli sa giocarle, controllarle e portarle a casa. La padronanza della fase difensiva è il valore aggiunto che -al momento- compensa una proposta di gioco che non può soddisfare pienamente. Conte si è affrettato a sottolineare  l'ottima prestazione di Milinković-Savić, autore di tre interventi decisivi e le diverse palle-gol create dagli azzurri, ma resta il sottile disagio di dover ancora attendere il novantesimo come una liberazione. Uno stato d'animo che raramente si addice ad una squadra padrona che chiude presto i conti con l'avversario inferiore. 
    In questa eterna corsa alla perfettibilità, nessun azzurro ha deluso. Conte pretende il massimo -come McTominay ha ricordato a fine gara- ed i giocatori mostrano di seguirlo. Kvara è ancora lontano dalla forma migliore ma i suoi spunti pungono e propiziano il gol, Lukaku si danna su ogni pallone e merita la sufficienza piena, Politano fa la sua parte con eterna dedizione. Il centrocampo conferma le sue qualità in contenimento e porta a casa i tre punti grazie alla stoccata di McTominay, ma è Lobotka il vero dominatore della linea mediana.
    Sarà interessante scoprire come Conte affronterà l'impegno infrasettimanale in Coppa Italia. La fedeltà all'undici titolare dovrà far posto alle necessità di un turnover imposto dalle esigenze di uno spogliatoio che non ha bisogno di scontenti. Il doppio confronto con la Lazio, che verrà al Maradona domenica prossima, è un altro crocevia significativo per le ambizioni azzurre e per le capacita di gestore di Antonio Conte. "Meriterebbero tutti più spazio e possibilità": conservare le motivazioni dell'intero organico raggiungendo ogni obiettivo è un altro dei miracoli - certo non l'ultimo- che il tecnico leccese è chiamato a compiere.

(Fa.Cas.)

    La mano del totem giallorosso -quella di Claudio Ranieri- era l’unica variabile imponderabile prima della sfida del Maradona. Perchè il Napoli si conosce: tecnicamente superiore, mentalmente aggressivo e ostinatamente concentrato sull'obiettivo. Unico problema: il gol. Il totem romano lo sa e se la gioca difendendosi. Ed è così che la temuta variabile si trasforma nel più scontato dei copioni: la difesa ad oltranza. L'esito è nella logica: il gol azzurro strappato con le unghie, la reazione giallorossa, il Napoli che abbassa il baricentro e si difende come sa. Il primo posto azzurro soddisfa le speranze del momento ma lascia il retrogusto amaro del successo difeso con le unghie, in eterna balia di un episodio che stravolga risultato ed umori. E' il Napoli del nuovo corso, blandito da una classifica di eccellenza ma insidiato dai limiti che possono affondarlo da un momento all'altrro.
    I cattivi presagi si erano palesati con l'Atalanta, ma  il pareggio ottenuto a Milano ha avuto un significato simbolico molto profondo, che va ben oltre la matematica del punticino in classifica. Un nuovo crollo a casa dei campioni d’Italia avrebbe oggettivamente ridimensionato valore ed ambizioni di un Napoli capilista per un capriccio del calendario. L’autorità con la quale gli azzurri hanno imposto il pareggio ha restituito buona fetta della credibilità perduta ed una concreta sensazione di solidità nel momento già significativo.
    Che la via resti lunga e piana di difficoltà, resta un fatto fuori discussione. L’illusione del primo posto lascia il tempo che trova, in un contesto nel quale forse solo il Milan (penalizzato dalla classifica ma con una gara in meno) sembra arrancare fra ricorrenti difficoltà. Il resto della truppa è folto e viaggia veloce, con le due sorprese della stagione (Lazio e Fiorentina) in posizioni molto alte. E’ per questo che Conte sembra avvinghiato a valori più solidi e duraturi -la maturità della piazza e l’abnegazione della squadra- su cui poggiare ogni futura  ambizione di successo.     
    Il resto -giusto o sbagliato che sia- è pura dialettica: il tecnico avrebbe potuto glissare con l’eleganza dei vincenti ogni polemica sul VAR, vista l’inifluenza del rigore non trasformato dall'Inter. Accendendo una polemica immediata, Conte ha semplicemente reclamato per i suoi l’attenzione dovuta. Perchè mantenere alta una certa forma di tensione è l’unica cautela che paga, in un universo di retropensieri e inspiegabili leggerezze arbitrali.

(Fa.Cas.)



   

    In una tiepida domenica di inizio novembre arriva una spallata alla credibilità del nuovo Napoli. Ed è stata portata nel modo peggiore, ad opera della squadra più rampante (l'Atalanta), con una dinamica inesorabile (un dominio subito nell'arco dei novanta minuti) ed in totale assenza di attenuanti, fatta eccezione per l'assenza di Lobotka, l'unico minus che gli azzurri non sono in grado di compensare nemmeno sulla carta. Alzata l'asticella, il Napoli paga un dazio pesante per una proposta di gioco approssimativa e insufficiente. Un limite noto, coperto finora dalla tenuta della difesa e perfino esaltato da chi ha avuto la fantasia di vederci la prova provata di un cinismo superbo. E' curioso che nel giorno di una disfatta inattesa vada in scena il copione più prevedibile, con l'anti-eroe che recita male ed a fatica: è ancora su Lukaku che si concentreranno critiche e perplessità. Il suo ruolo di eterna sponda sarebbe discutibile già se perdesse la metà dei confronti. Figuriamoci quando frana due volte su tre, senza incidere minimamente nella manovra e nelle finalizzazioni. Ed è così che il Napoli si trova a gestire due problemi oggettivi, visto che anche per Meret si riaprirà il baratro dalla sfiducia. Quando si dice il valore della continuità, in un contesto che non ammette pause od il solo ricordo di prestazioni felici. La vetta non perdona pause.
    Nella realtà delle valutazioni a freddo, il discorso potrebbe essere anche un altro. Ossia capire quanto sia prematuro assegnare un valore definitivo a sfide come questa. Tutto può nascere dalla malizia con la quale accogliamo le esternazioni di Conte, che ha avuto tutto l’interesse nel preparare l’ambiente al passo falso. Come reazione naturale, pensiamo di getto al gioco delle parti, ma la realtà sarebbe inoppugnabile: un gruppo in (ri)formazione, un ambiente da rigenerare, una nuova mentalità di gioco e le diverse dinamiche di spogliatoio non possono definirsi compiuti in tre mesi netti. Pensarlo sarebbe follìa. La sfida ed il risultato di oggi sono solo un esame in itinere, che di definitivo non ha assegnato nulla oltre ai tre punti. Ecco il senso delle parole di Conte, che ha invitato ad attendere la fine della stagione per un paragone dei meriti con una Atalanta dichiaratamente superiore.
    Ad un terzo del campionato, di certo c’è che soltanto la Roma figura tra le squadre che hanno palesemente deluso. Le big hanno mostrato momenti di flessione, ma restano tutte assolutamente a galla, in grado di tenere il passo e di vincere con sufficiente autorità in casa della provinciale di turno. Insomma, tutto resta in assoluto divenire, mentre il limite della zona Champions appare oggi l’unica linea di traguardo da tener veramente d’occhio.

(Fa.Cas.)

   

 

  

    Altro che partita sporca. Conte ridisegna estetica e metro di giudizio. Sottolineando il dominio, i ventiquattro tiri a porta, i sedici angoli ed un possesso pressochè ininterrotto, tesse un elogio alla concretezza di una squadra che fa il suo dovere e domina in classifica. Certo, contro un Lecce votato al contenimento, il gioco diventa asfittico. Ma il Napoli ha ormai un suo marchio di fabbrica riconosciuto che fa a meno dell'estetica e privilegia il risultato. E' un approccio straordinariamente pragmatico che anima le discussioni del tifoso ed avrà presto la sua controprova: sarà nel confronto con le big il momento della verità assoluta. Conte propone Ngonge e Neres, a turno premia il collettivo e l'applicazione in allenamento ma ha il suo tormento proprio nell'unico uomo insostituibile: Lukaku. Durante la ricerca della forma perduta, su Romelu si aprono discussioni sul problema di fondo: è ancora un uomo che può fare la differenza? L'età e l'ingombro di trascorsi da vero campione creano perplessità difficili da rimuovere. Pensieri collaterali in un momento di entusiasmo crescente.
    Impossibile vivere senza il veleno quotidiano. Il Napoli ha trovato il suo cruccio nel rinnovo del contratto di Kvara. Il discorso, pero, è indefinibile già nelle sue premesse: quanto vale realmente il georgiano e -dunque- qual è il suo giusto compenso? Ecco la madre di tutte le domande, resa indecifrabile da un rendimento che non è stato molto costante nel tempo. Ma proprio questo è il punto, il peso specifico su cui tarare la logica. Perché esiste un valore troppo spesso ignorato in nome del talento: la continuità. E’ un elemento essenziale, indispensabile per gli organici che puntano al vertice, se vogliamo anche un elemento di rottura con il recente passato. Perché un conto è offrire altalenanza se gli obiettivi sono dimessi, ben altro conto è deludere quando è letale fallire anche un solo incontro, magari decisivo. Kvara, nel suo straripante talento, non offre certezze. E’ un po’ la parabola di Zielinski, spesso vittima della sua alternanza di rendimento e ben poco decisivo oggi nell’Inter, o quella di Marek Hamsik -tanto per scomodare l’Olimpo delle leggende azzurre- che collezionò ben più di qualche passaggio a vuoto nella sua straordinaria epopea napoletana. Se alla discontinuità verrà riconosciuto un suo disvalore - come pare verosimile - la distanza fra domande ed offerta è destinata a restare ampia, forse irrisolvibile fino ad un complicato mercato estivo.
    Nell’immediato futuro, con l’affanno che non appartiene al calendario del Napoli di quest'anno, c'è la sfida con il Milan ed il successivo “ciclo terribile”, una miniserie di sfide che interverrà più sull’autostima della squadra che non su una classifica ancora acerba. Tra i meriti palpabili e la ventura di un calendario fino ad ora morbido, il Napoli si trova nelle condizioni di affrontare le big nelle condizioni migliori. Può sembrare un fatto casuale, ma non lo è. L’onda dell’entusiasmo non è facile da ricreare, come la credibilità smarrita. C’è più fiducia oggi che dopo uno scudetto vinto. Già la suggestione non ha prezzo.

(Fa.Cas.)



    Il giochino del sostituto per ogni ruolo sarà anche rassicurante, ma resta troppo approssimativo. Il rimpiazzo dell'infortunato Lobotka si chiama Billy Gilmour, ma il suo gioco è diverso, come diverso è il Napoli.  La Lobotomia ha prodotto conseguenze interlocutorie, poichè i tre punti aprono molte perplessità invece che dissipare i timori dell'assenza: la squadra subisce, riparte male ed in maniera confusa, non finalizza mai. Assisteremo senz'altro ad un nuovo episodio dell'eterna diatriba tra i pragmatici e "giochisti", ma sarebbe necessario innanzitutto chiarire cosa c'è di pragmatico in una vittoria colta per l'unico tiro in porta, quello dal dischetto, prima e dopo del quale non è stato apprezzabile nè un disegno tattico vincente, nè una padronanza di gioco in grado di giustificare uno straccio di merito.  Perchè un conto è costruirsi la vittoria e poi privilegiare il risultato con concretezza operaia, ben altro conto è produrre il nulla, salvo poi difendere la ventura di un rigore a favore. Anche il pragmatismo più rude sottende -prima o poi- meriti concreti su cui speculare.
    Lo straordinario merito azzurro, piuttosto, è quello che consente alla squadra -tra valori già sciorinati e folate di vento favorevoli- di volare in testa alla classifica nonostante i lavori siano dichiaratamente in corso. A Conte non può venir richiesta la perfezione in avvio di campionato, poichè nella rinascita il rodaggio è una fase obbligata e la brutta prestazione un male contemplato. La benevolenza assoluta con cui vengono mosse alcune obiezioni attenziona solo demeriti che sarebbero fatali con squadre più attrezzate. Il vero peccato si commette ignorandoli.
    Come è impossibile sottovalutare i problemi legati a due protagonisti azzurri: Lukaku e Kvaratskhelia. Il primo è ancora alla ricerca di una condizione accettabile e della concretezza perduta. La sostituzione di Empoli è una bocciatura pubblica che può aprire un caso in grado di condizionare pesantemente il cammino degli azzurri.  Per Kvara, invece, le chiacchiere infinite sul rinnovo del contratto nascondono (o vorrebbero giustificare) il reale problema del georgiano: la continuità. Un valore assoluto che l'amore del tifoso perdona e dimentica. Ecco l'atavico privilegio degli uomini-gol, mentre è grazie alla continuità della difesa che oggi Napoli torna a far festa. Questo è il calcio, con le sue stupide bugie.

(Fa.Cas.)
   
   
   




   
Quattro punti di vantaggio sulla seconda, per quanto provvisori, evocano suggestioni incontenibili. E l'esaltazione degli scenari più rosei viene amplificata dal bruciore di ferite non ancora chiuse, quelle della stagione appena passata, fatta di mortificazioni interminabili ed inattese. Il quadro psicologico con il quale Napoli abbraccia questo abbrivio è esaltante ma poggiato sul desiderio di una riabilitazione immediata. Ed è per questo che capire quanto ci sia di razionale nell'ebbrezza di oggi è esercizio dovuto, ma ingrato nei confronti di chi viene da un anno di sofferenze continue. Il tifoso va capito, ma anche il Napoli va inquadrato nella sua vera realtà.
    Diciamolo subito: la squadra dimostra una concretezza disarmante. Passa in vantaggio dopo pochi secondi e lo riconquista pochi minuti dopo aver subito il pareggio. Assorbe i timidi tentativi di reazione e finisce l'avversario con un contropiede mortifero a quattro minuti dal termine. I comaschi difficilmente riescono ad entrare in area, i pericoli per Caprile sono ridotti al nulla, eccezion fatta per qualche conclusione da fuori, come quella che ha fruttato il pareggio. La partita, ridotta nei minimi termini offre spunti a senso unico: non c'è stata storia. La realtà dei fatti -però- racconta anche di un tempo totalmente ceduto al palleggio di un Como padrone del campo, nei confronti del quale -anche per la posizione avanzata di McTominay- il Napoli non ha saputo opporre resistenza alcuna, fino nell'epilogo annunciato, il gol del pareggio. Il "ma" di questa vittoria si incarna in questa lunga parentesi di passività durata un tempo intero - probabilmente assai indigesta per lo stesso Conte- ad opera di un manipolo di ragazzotti guidati da un mister rampante ed -evidentemente - assai capace. Facile supporre esiti diversi e ben altra gloria se il collettivo del Como avesse contato sulla malizia di qualche campione e su finalizzatori di valore ed esperienza superiori.
    Ed è così che il punto, ora, è limitarsi a considerare la squadra azzurra come un organico assolutamente promettente ma in piena evoluzione, che non offre certezze che vadano oltre i valori già noti: la tenuta di una difesa di nuovo affidabile, la solidità di un centrocampo che ha trovato interpreti e ricambi di valore assoluto, la concretezza di un attacco esuberante per organico e prestazioni, seppur in attesa della migliore forma di Kvara e Lukaku. La perfettibilità è un affare in assoluto divenire, da concludere strada facendo con la cultura del lavoro che Conte adora. Sentirsi già arrivati può essere letale. Perchè la pressione che uccide, quella quotidiana, non viene dal Nord.

(Fa.Cas.)

  

 

    Voglia di imporsi a parte, non erano i tre punti il vero obiettivo della trasferta a Torino. Sia per il Napoli che per la Juventus il discorso era diverso: verificare il grado di progressione sulla strada dei un rinnovamento profondo, che necessita di riscontri dal campo contro avversari di livello superiore. Per gli azzurri, poi, il processo è ancora più indaginoso, poichè c'era da chiarire il peso specifico degli ultimissimi arrivi ed il loro intervento sulla scelta del modulo. Ed è per questo che il malcelato buon umore di Conte è molto più significativo dalla moderata delusione mostrata da Motta: a reti bianche, gli azzurri tornano con certezze nuove e concrete, derivanti innanzitutto dall'esito dell'inserimento di McTominay: tecnica e solidità di gioco al servizio di un centrocampo finalmente a tre.
    E' la conclusione di una telenovela dall'esito praticamente scontato, impossibile supporre che con cinque centrocampisti di livello (Anguissa, Lobotka, McTominay, Gilmour ed il reintegrato Folorunsho) il Napoli avrebbe finito per schierarne stabilmente solo due, a vantaggio del vecchio modulo che non può - per l'esiguo spessore tecnico dei due esterni di centrocampo- essere il valore aggiunto per giocarsi la zona Champions. Chiarita la grande concretezza del nuovo centrocampo, luci ed ombre provengono piuttosto da difesa ed attacco: nella giornata poco felice di Lukaku e di un impalpabile Kvara registriamo anche la sicurezza di una retroguardia che negli ultimi quattro turni (da quando Buongiorno è fra i titolari) ha subito solo una rete. E' innanzitutto questo il vero punto di rottura con le ultime disgrazie azzurre.
   Dopo l'impegno in coppa Italia con il Palermo, gli azzurri sono attesi da quattro turni abbordabili (Monza, Como, Empoli e Lecce), che, potenzialmente, possono stabilizzare la presenza del Napoli nei quartieri alti della classifica. Conte sta percorrendo senza grossi affanni e con relativa tranquillità la strada dello studio e del rinnovamento, mentre alla quinta di campionato, il Milan e la Roma già dimostrano che la crisi è sempre dietro l'amgolo. In ottica Champions, certi destini prendono forma già ad inizio stagione. E' il modo più piacevole di consolarsi, nei mercoledì di coppa più malinconici.

(Fa.Cas.)

    La vetta è provvisoria, ma qualche certezza è definitiva. Il Napoli visto  Cagliari è una squadra che lotta, non si risparmia, sputa l'anima e soffre, se è il caso. Ed il risultato, puntualmente, arriva. La cultura del sacrificio è un patrimonio sul quale poggiare le basi solide della ripresa e non sorprende sancirlo oggi, poichè è il mantra a cui il Napoli si è votato fermamente, fin dall'arrivo di Conte. Ed è cosi che il popolo azzurro ricava certezze anche se si gioca "solo" con il Cagliari, poichè il metro di paragone, ancora fresco e sofferto, è l'atteggiamento remissivo e perdente della scorsa stagione, quella da Campioni d'Italia. Gli azzurri sono primi, ma coltivano ancora potenzialità in divenire: i nuovi arrivi devono ancora integrarsi, qualche registrazione tattica è in cantiere, diversi singoli mostrano miglioramenti oggettivi: è il caso di Meret, in eterna attesa della continuità che lo consacri, e probabilmente quello di Anguissa, che sembra ritrovarsi proprio nel momento il cui la sua titolarità vacilla. Potere delle motivazioni, o solo del circolo virtuoso degli organici che sanno riassortirsi e risorgere dalla cenere.
   Il primo crocevia è a brevissima scadenza. Nel prossimo turno gli azzurri sono attesi a Torino, ma potranno giovarsi della settimana-tipo di lavoro, laddove la Juventus affronterà il primo impegno in Champions, destinato ad assorbire energie fisiche e nervose già fiaccate dalla grigia prestazione di Empoli. Insomma, nel programma della rinascita, la pratica sta confermando le teorie già previste, per il più semplice dei motivi: dall'arrivo di Conte in poi, scommesse ed approssimazione non abitano più a Castel Volturno. Il rimpianto è non averlo capito prima.
   Ed è cosi che il filo logico porta naturalmente alle recenti esternazioni di don Aurelio, un uomo a cui è toccato il destino più curioso: incontrare iì favori del popolo dopo un fallimento, quello della scorsa stagione, molto più di quanto sia accaduto dopo il trionfo, quello dello scudetto. Sembra un paradosso, ma non lo è, poichè oggi l'uomo ha rinnegato sè stesso in termini di cifre investite, di scelta delle risorse umane (la caparbietà con cui ha inseguito Conte è innanzitutto l'espiazione di un fallimento), e perfino del modo di porgere il suo operato. I momenti di commozione hanno avvicinato De Laurentiis ai tifosi napoletani, uomini d'Amore. Sarà un copione studiato, ma poco importa. E' arrivato per cambiare Napoli. Dopo venti anni, forse è Napoli che ha cambiato lui.

(Fa.Cas.)

 è

    Gli undici minuti di recupero di una gara folle ed irripetibile chiudono il periodo più balordo della stagione. I primi nove punti dell'anno, quelli assegnati a mercato ancora aperto, premiano (o penalizzano) progetti ancora in divenire, squadre senza fisionomia, percorsi ancora incompiuti. Il Napoli di fine agosto conosce il suo organico, ma può schierarlo poco e male, rischiando ritardi in classifica oggettivamente ingiusti. Ormai alla quarta di serie A, commentiamo ancora l'organico del passato, con almeno quattro pedine essenziali in fase di inserimento ed un modulo che fatalmente subirà gli assestamenti del caso. E' questo il grido di allarme che Conte si preoccupa di lanciare prima di ricordare meriti di una vittoria pazza quanto sofferta. Perchè i tre punti ci sono, ma non sappiamo ancora di che squadra parlare. Ecco la vera follia di agosto, tra contratti appena firmati e centravanti in lacrime.
    L'unica cosa carta, ad oggi, è la compattezza di un ambiente mai unito come ora. Lo è perchè si è dapprima aggrappato alla figura vincente di Antonio Conte, il garante che fa del lavoro e della sofferenza il mantra ossessivo riconosciuto con soddisfazione dal popolo, e poi -contro ogni previsione- al fattivo impegno di un presidente che difende la sua piazza spendendo e abbracciando un principio di cuore. Perchè se i centocinquanta milioni spesi sanciscono oggettivamente un impegno fattivo (come non fu nella sciagurata stagione scorsa), è bene cogliere anche il valore simbolico nascosto nell'esito dell'affare Osimhen. Appiedare uno dei centravanti più forti del mondo nel rispetto di un principio, significa innanzitutto punire chi volta le spalle a Napoli ed alla sacralità della sua passione. La difesa dell'interesse economico azzurro si abbina -nei fatti- al fallimento di una presunzione ingrata. Per una volta, chi abbandona la gente è destinato a soffrire: è la soddisfazione intima che il tifoso può coltivare dopo tante delusioni d'amore. Questa rivalsa morale è il regalo di un uomo solo: Aurelio De Laurentiis.
    Ed è così che la sosta di campionato diventa il reale spartiacque fra il Napoli che fu e quello che sta per nascere. Due settimane per crescere, formare il nuovo gruppo, verificare nuove identità di squadra. Dopo scenari lugubri e scelte fallimentari,  ritorna l'ottimismo smarrito. In fin dei conti è semplice. Basta fare le cose per bene.

(Fa.Cas.)

 

    Andò in scena il primo maggio, poco meno di quattro mesi fa, uno degli ultimi scempi di una stagione maledetta. Il Bologna passò al Maradona quasi passeggiando sulle rovine azzurre. Oggi, i nuovi protagonisti di Champions escono dal catino di Fuorigrotta bastonati oltre i loro demeriti: dallo 0-2 al 3-0 in un amen. Eppure, la stragrande maggioranza degli effettivi è la stessa. Tra titolari e subentrati, ben undici azzurri hanno giocato di nuovo, con ben altro risultato. Ma si tratta di merito, non di un prodigio del caso. Perchè la differenza -innanzitutto- l'ha fatta la dinamica del risultato: dopo dodici minuti, a maggio il Napoli era già sotto di due gol. Difficile rialzarzi per chiunque, figuriamoci per quella squadra. Primo, non prenderle. L'antico adagio spiega le devastazioni passate e motiva i nuovi successi, fornendo chiavi di lettura che rassicurano ben oltre l'enfasi dei gol da copertina. Da un anno mancava il clean sheet al Maradona. I titoli sono per chi segna, ma il Napoli oggi sa difendersi.
    Sa anche cosa prendere, potrebbe dire qualcuno. Perchè durante la campagna acquisti più ricca ed avveduta della gestione De Laurentiis, non è difficile ricordare i pochi spiccioli spesi lo scorso anno per sostituire l'architrave della retroguardia tricolore, Kim. La madre di tutte le presunzioni condannò il Napoli già a settembre. L'oppurtuno investimento su Buongiorno e la velocità con cui è stato realizzato è il mea culpa su cui si poggia una nuova filosofia di mercato, di cui Conte -attenzione- è solo protagonista apparente. Perchè la rivoluzione concettuale deve aver pervaso (o oppresso) l'intimo di De Laurentiis, costretto a rivedere -considerati i mancati guadagni e la perdita di valore dell'organico- il vero peso specifico dei giocatori pronti e più costosi. Il Napoli di oggi (considerati gli arrivi in pectore) non si è affidato a scommesse al risparmio già nella scelta del tecnico e non ha nella plusvalenza l'unica virtù a cui votarsi. La misteriosa eccezione che conferma la regola è il solo Rafa Marin, giudicato non pronto proprio dalla persona che deve averne appoggiato l'acquisto.
   Il Napoli di oggi registra il primo successo vero, ma non può ancora aprirsi a giudizi tecnici. L'assurda finestra di mercato che arriva alla terza giornata di campionato disegna scenari in grado di stravolgere l'identità di una squadra fino ad ottobre. Lukaku, Gilmour e McTominay (e forse un esterno a destra) possono riscrivere gerarchie, moduli e giudizi. Nel frattempo, su uno sfondo sempre meno appassionante, si agitano le presuntuose ambizioni di Osimhen, stella cadente in un mercato europeo che non ha mai fatto a pugni per averlo davvero. L'esilio arabo è boccone amaro per Victor e zucchero per chi coltiva l'amor di maglia. Povero calcio.

(Fa.Cas.)

 

     A vederla oggettivamente, i conti tornano eccome. Il nuovo Napoli è lo stesso del vecchio, anzi ancor peggio: medesimi giocatori in campo -con l'eccezione dell'inconsistente Spinazzola- due top player  fuori -Osimhen e Kvara, uscito prima del tracollo del secondo tempo- gli acquisti di nome non utilizzati -Buongiorno e, inspiegabilmente, Rafa Marin- il resto della truppa con le gambe imballate da una preparazione ormai epica e lunga da smaltire. Aggiungiamo che nel disegno teorico qualche cardine deve ancora essere acquistato e concludiamo ricordando il disvalore tecnico garantito da Juan Jesus e dalla palese inadeguatezza del povero Simeone: la figuraccia del Bentegodi sarà anche indigesta, ma è colma di presupposti perfino banali.
    Conte tiene a metterci la faccia, chiede scusa per la vergogna e professa umiltà. Mentre lui fa la sua parte, il tifoso ha il dovere di ragionare con distacco ed intelligenza: ci ritroviamo oggi a giudicare una squadra molto più penalizzata da tempistiche assurde che non dalla stretta programmazione: il Napoli di oggi non è quello progettato da mesi. E non sarà quello definitivo, poiché i dieci giorni che ci attendono saranno cruciali nei destini di questa stagione.
    Tutto porta al peccato originale, l'affare Osimhen, tuttora difficile da inquadrare perchè, incredibilmente, alcuni passaggi della sua attuazione sono stati sottovalutati. Possibile non ipotizzare problemi per il pagamento di una clausola così alta? Possibile non immaginare i danni di una campagna acquisti affrontata in ritardo? Possibile -infine- ignorare il pericolo di una permanenza forzata? E non solo: l'assoluta mancanza di piani alternativi (a fronte di evenienze prevedibili) semina perplessità anche nei rapporti don Aurelio ed Antonio Conte, che avrebbe implicitamente accettato le stesse tempistiche di pianificazione di cui oggi -come vittima- sembra lamentarsi. Troppe cose quadrano poco in un contesto di eventi affrontati con una superficialità inspiegabile e quasi infantile.

(Fa. Cas.)
   
   

 

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