A destra, un disegno del famoso bozzettista Achille Beltrame sulla prima pagina
della "Domenica del Corriere" del 1902 per illustrare una partita di
football di quei tempi.
Ecco i campi principali sui quali si giocò a Napoli,
dal vecchio "Campegna" al moderno "San Paolo" :
1904: Campegna
Ritenuto insufficiente e scomodo il terreno
del Campo di Marte a Capodichino (che fu uno dei primi spazi a
disposizione, insieme con il famoso Mandracchio nella zona del Porto), i
dirigenti del Naples
Football Club, dell’Audax, della Juventus di
Napoli presero in fitto un terreno a Campegna alle pendici di
Posillipo. Qui si installarono le porte e si costruì un casotto in
legno dove finalmente era possibile spogliarsi e depositare gli
abiti. I giocatori arrivavano in carrozza o in auto al campo con la loro “corte”
di amici e amiche. Mangiavano, poi giocavano. Man mano,
sorsero nuove squadre ( non solo a Napoli, anche in Campania) e la struttura migliorò.
Il campo si trovava
proprio sotto la collina di Posillipo, dove adesso c'è una parte del quartiere Fuorigrotta,
costruito successivamente.
1912: Agnano
Il
campo, nei pressi delle Terme di Agnano, venne inaugurato il 27 ottobre del 1912 con una vittoria per 3-2
dell'Internazionale di Napoli sulla romana Roman. In precedenza era
stato recintato e fornito di un casotto spogliatoio, mentre era
stato sistemato un
settore per il pubblico. Mezza lira di "ingresso sostenitore".
Ma pochissimi pagavano, gli spettatori preferivano entrare con vari
espedienti, scansavano il botteghino, scavalcavano le "montagnelle"
che circondavano il campo e si godevano gratis lo spettacolo. Il Naples, successivamente, si trasferì al Poligono di Tiro a Segno,
da poco inaugurato. Ad Agnano Giorgio Ascarelli portò poi a giocare
il suo Internaples - da poco costituito con una fusione - nel
campionato 1923-24, alternando il campo di Agnano a quello
dell'Arenaccia.
1913: Poligono di
Tiro
Il campo
del Poligono di Tiro fu inaugurato nel 1913 e intitolato a Vittorio Emanuele III.
In precedenza ospitava
soprattutto polli e tacchini. Le prime partite
del Naples e dell’Internazionale, disputate su un fondo sabbioso e
irregolare, cominciarono così ad avere anche gli
spettatori paganti. Si giocava in una zona antistante le varie
postazioni di sparo del tiro a segno. Tra il primo e il secondo tempo, un
rappresentante delle società raccoglieva i soldi per l'ingresso con un blocchetto
di ricevute. Nella foto, ecco ciò che è
rimasto per diversi anni del vecchio campo del Poligono di Tiro
"Vittorio Emanuele III". Si notano gli ex spogliatoi e sopra, sulla
collina incolta, la zona con poche case di campagna, dove
successivamente sono sorti i palazzi e le ville dell'attuale Via
Manzoni.
1920: Campo Ilva Bagnoli
Per il campo dell’
"Ilva Bagnoli" è incerta la data
dell’inaugurazione. La sua storia è parallela alla complessa storia
dell’Italsider, nella quale il campo finirà per essere inglobato.
Era uno dei vari campi sorti ai piedi della collina di Posillipo. Su
quel terreno vi giocava sistematicamente l’Ilva Bagnolese, ma in varie
occasioni l'impianto dell'Ilva ospitò anche l’Internaples di
Ascarelli e in seguito, saltuariamente, il Napoli, sia negli ultimi
Anni Venti che negli Anni Trenta. L’area del
campo poi ha cambiato
uso ed ha seguito il destino del Centro siderurgico. Ora la zona è
sottoposta a una bonifica ambientale, ma al di fuori della cinta degli
ex stabilimenti Ilva è in attività un altro terreno di gioco. Nella
prima foto in alto, il campo di Bagnoli negli Anni Venti; nell'altra foto, il campo dell'Ilva Bagnoli durante una partita Anni
Trenta. In primo piano un giocatore con la maglia della Bagnolese,
nera con la stella bianca.
1926: Arenaccia
Un terreno del Comune
all'Arenaccia occupato dai militari,
venne poi dal
generale Albricci adibito a campo di calcio. Nel 1926 ci fu l'inaugurazione. Su questo
stesso campo
debutterà poi anche l’A.C. Napoli, grazie all'abilità e iniziativa
di Giorgio Ascarelli che riuscì a conquistare l'impianto adattandosi (dopo
uno strascico giudiziario) a coabitare con i militari
che l'avevano occupato durante la guerra. In muratura solo in parte, poi fu rimodernato.
Qui il Napoli disputò il suo primo storico campionato di A,
Divisione Nazionale a due gironi, in cui conquistò un solo punto col Brescia, il
13 febbraio del 1927. La squadra azzurra continuò a giocare
all'Arenaccia in attesa dell'inaugurazione dello stadio voluto dalla
tenacia ferrea di Giorgio Ascarelli, al Rione Luzzatti. Il campo
dell'Arenaccia ha ospitato in tempi
diversi pure
partite di rugby, gare di ciclismo su pista, di atletica e per un periodo
del dopoguerra funzionò anche
da cinodromo. Per alcuni anni venne prescelto per gli
arrivi del Giro Ciclistico della Campania. Capienza di allora 12.000
spettatori.
1929: Vomero
In muratura,
fortemente voluto dal Fascismo, lo stadio del Vomero fu inaugurato il 27
ottobre 1929 e si chiamò agli inizi "XXVIII ottobre". I calciatori azzurri vi giocavano, però, molto a malincuore. Troppo distante
era la
folla. Gli preferirono, quindi, nel 1928-29 il campetto dell’Ilva Bagnoli. Il Napoli
giocò al Vomero nel 1933-34, perchè l'Ascarelli era in rifacimento,
in vista dei mondiali del 1934. Vi ritornò nel
finale del 1941-42 e nel '42-43 (perchè l'Ascareli era stato
bombardato) ma fu sfrattato dalla Wehrmacht
e dalle S.S., che lo usarono anche come centro di raccolta dei
partigiani napoletani catturati dai tedeschi. Nello Stadio del
Vomero trovarono sepoltura provvisoria (lato curva nord) i
partigiani uccisi dai nazisti durante le "Quattro giornate",
cerimonia alla quale presero parte anche i dirigenti e i giocatori
azzurri. Ma dopo la
guerra, da Stadio Littorio diventò “Stadio della Liberazione”.
L'impianto risultò
l’unico con una certa agibilità ed ospitò il Napoli
del dopoguerra, dal 1946, spesso con più
di 40 mila spettatori (anche con impalcature a tubolari Innocenti
nelle curve). Tra alcune invasione di campo, ci fu
anche un evento che sfiorò la tragedia.
Il 27 gennaio 1946, Napoli-Bari 2-1: al gol tanto atteso dell'albanese Lustha, il primo
in maglia azzurra del neo acquisto, l'esultanza fu tanta da far
crollare una fetta delle tribune.
Le cronache riferiscono di 114 tra
feriti e contusi. Rifatto ex novo negli Anni 70, anche per
altri sport. Nelle foto, in alto, lo stadio del Vomero durante
una partita del
1938, quando si chiamava "Stadio Littorio";
in basso una panoramica dell'impianto vomerese dopo la ristrutturazione nel
dopoguerra. Poi, rinnovato, prese il nome di "Stadio Collana",
con una vita tormentata, sempre alle prese con problemi di
agibilità.
1930: Ascarelli
Costruito in meno di sette mesi (dall'agosto
1929) con i soldi del presidente del Napoli, Giorgio Ascarelli, venne inaugurato con Napoli-Triestina vinta 4-1 (16-2-1930), ma memorabile fu il vero
debutto in 23-2-1930 contro la Juve. I bianconeri vincevano 2-0, ma
nella ripresa una doppietta di Buscaglia fissò il 2-2. Un tripudio.
Le tribune erano prevalentemente in legno, per poco più di 10 mila
spettatori. Lo stadio
venne chiamato “Vesuvio” e per un breve periodo "Ascarelli".
Fu il primo stadio d'Italia di proprietà esclusiva di un grande
club. Quando fu ristrutturato ed ingrandito in muratura, alla
vigilia dei mondiali del 1934, la capienza venne portata a 30 mila
spettatori e cambiò la denominazione in
"Partenopeo". Nella foto, a sinistra, la cerimonia della
posa della prima pietra dello stadio Ascarelli avvenuta nel 1929. A
sinistra si notano il terzino del Napoli Innocenti, una delle figure
più rappresentative dell'epoca, ed al suo fianco, sorprendentemente
in pullover, Ascarelli, che finanziò tutti i lavori. A
destra, una delle curve dello stadio al Rione Luzzatti, all'inizio fatto
per lo più in legno.
1934: Partenopeo
Lo stadio "Partenopeo" venne ricavato dallo Stadio Ascarelli
e fu ricostruito in cemento armato, per 40 mila tifosi.
Ospitò per i campionati mondiali Germania- Austria e Italia-
Francia. Il Fascismo, poichè il benemerito e compianto
presidente degli azzurri era di origini ebraiche, preferì chiamare
lo stadio, ristrutturato integralmente,
“Partenopeo” anzichè "Ascarelli ". Nel 1937 il Napoli realizzò nello stadio "Partenopeo" un
esperimento: l'ingresso libero alle donne. L'impianto venne distrutto dai bombardamenti
aerei degli anglo-americani durante il tormentato campionato 1941-42
e successivamente subì un lungo saccheggio. A sinistra l'ingresso dello stadio
"Partenopeo".
1945: Orto Botanico
Nel dopoguerra, col
"Partenopeo" ormai in macerie per i bombardamenti, l'Arenaccia fuori uso e lo
stadio del Vomero in mano agli Alleati, si giocò anche all'Orto
Botanico, dove per emergenza, in vista del campionato regionale. fu
allestito - su iniziativa di Gigino Scuotto - un terreno di gioco, di fortuna, proprio per il Napoli,
con una tribunetta in muratura per spettatori in piedi (qualche
migliaio). La mano d'opera fu pagata con le bottiglie di liquore e
le stecche di sigarette fornite, come contributo volontario, dai
soldati americani che stazionavano
nell'Orto Botanico. L'inaugurazione avvenne
con Napoli-Frattese, 2-2 nel gennaio 1945 e gli azzurri vi giocarono
per tutta la stagione. Il patrimonio vegetale dell'Orto era stato distrutto dalle
truppe alleate che vi dimoravano, anche con alcune casermette.
1959: San Paolo
Il "San Paolo" fu inaugurato ufficialmente con Italia-Svizzera (3-0),
il 6 gennaio 1960, dopo
circa dieci anni di lavori. ma
aprì eccezionalmente prima, con Napoli-Juve (2-1) il 6 dicembre del
1959. Lo Stadio di Fuorigrotta in passato ha ospitato fino a 90 mila spettatori. Ha subìto varie
ristrutturazioni (tra cui la costruzione della copertura in ferro e
della nuova tribuna stampa, con 436 posti) e anche periodi di inagibilità,
accompagnata da un progressivo decadimento della struttura. Ora la
capienza dello stadio "San Paolo" è ridotta, in base alle nuove norme sulla sicurezza.
Nella ristrutturazione per i Mondiali di calcio del 1990 non sono
stati creati, tra l'altro, tombini sufficienti e strutture adeguate per lo sversamento dell'acqua piovana (da qui un paio di allagamenti degli
spogliatoi), mentre il manto erboso, che già soffre per la copertura
dello stadio, è stato erroneamente poggiato su sabbia di mare e non
di fiume. In passato il San Paolo è stato anche utilizzato per
riunioni di atletica leggera. Ora dispone al suo interno di alcune palestre
polifunzionali. E' di proprietà del Comune di Napoli. Nella foto a
sinistra,
Alcide De Gasperi durante la cerimonia della posa della prima pietra
al costruendo stadio di Fuorigrotta il 27 aprile del 1952. In alto,
il San Paolo al tempo dell'inaugurazione senza le coperture in
acciaio apportate successivamente per i mondiali di calcio.
Dai mutandoni ai guanti computerizzati
Anche
l’abbigliamento calcistico (come, del resto, tutto quello sportivo)
ha subìto l’evoluzione dei tempi e della moda. Ricordate le foto di
inizio secolo con quegli uomini in mutandoni, aderenti fin sotto il
ginocchio, a volte col cappello in testa o la bandana sulla fronte?
Rammentate i portieri con le immancabili ginocchiere, con la
classica “coppola” un po’ alla guappa, (il napoletano Cavanna
compreso) dotati di guanti di fortuna? Immaginavate che un portiere
potesse indossare in campo una cravatta (nella foto a destra) ? Ricordate le scarpette, che
spesso erano scarpe adattate (persino quelle da militare, se c'erano
in casa) e quando erano “scarpe da gioco”
avevano delle
strisce orizzontali sotto la suola? Successivamente
furono utilizzati tacchetti ben inchiodati dal fido magazziniere ( o
dai calzolai societari) e
scelti a seconda delle condizioni del campo. E intorno al piede l’insostituibile cavigliera
in tessuto elastico per tener ben compatta l’articolazione. I
calzoncini erano antiestetici, e le magliette colorate ad un fondo,
oppure a strisce o a quarti, erano prevalentemente di lana. Ora la
progettazione degli indumenti sportivi , in materiali sintetici,
viene affidata addirittura a designer. I famosi sospensori non si
usano più: sono sostituiti praticamente dagli slip elastici che
agiscono con eguale efficacia. E che dire, poi, del pallone,
il “pezzo” più importante del gioco, che è letteralmente cambiato,
non nella…forma, ma certamente nella concezione, nel materiale e nel
colore? Anche giovani sanno che, da molti anni, i palloni – pure
quelli professionali - avevano una camera d’aria, proprio come le
gomme d’auto, da riempire usando un “gonfiatore” , magari da
bicicletta. Ma, una volta, il beccuccio della camera d’aria veniva poi ripiegato
all’interno del cuoio e chiuso con una stringa in pelle. Si formava,
quindi, una cucitura che nel colpire di testa si faceva sentire,
eccome! Soprattutto quando per la pioggia il pallone – tutt’altro
che impermeabile – diventava pesante. Questo spiega perché molti
difensori dell’epoca, per proteggere la fronte, esibivano una
vistosa fascia (nella foto a destra, il terzino del Napoli Anni 30,
Vincenzi con una bandana intorno al capo). Sono cambiate anche le porte: all’origine i pali
erano esclusivamente a sezione quadrata (quindi con spigoli pericolosi), ma con
quel palo si aveva una discreta certezza di dove sarebbe finita la
palla dopo averlo colpito. Senza parlare delle tecniche dei
massaggiatori, i loro unguenti, le varie creme e le numerose
“macchine” per aiutare i giocatori alla rieducazione o al
mantenimento del tono muscolare. Tentiamo, comunque, un breve riepilogo di
alcune evoluzioni:
PALLONI – Sono i
“pezzi” che rispetto al passato hanno subìto la più profonda
evoluzione. Dai palloni in semplice pelle a fasce, con camera
d’aria da gonfiare prima dell’uso e relativa, cucitura, si è passati
gradualmente a vari tipi, con spicchi meglio tagliati e meglio
cuciti tra loro. Dal giallo bruno standard siamo arrivati a colori
più chiari, al bianco e nero a pois, che rende la sfera più visibile
soprattutto agli effetti televisivi, o addirittura al rosso in caso
di neve. Ora sono tutti uniformi nella rotondità, per non parlare
dei recentissimi palloni rivoluzionari a 32 spicchi con alta
tecnologia, rivestimenti antiabrasivi e idrorepellenti che
assicurano un contatto perfetto con le scarpette, oltre a una
morbidezza e una resistenza estreme. Gli unici particolari che non sono
cambiati nei palloni, per regolamento della Fifa, sono la circonferenza tra i 68
e i 70 cm. e il peso compreso tra i 410 e i 450 grammi. Dalla
stagione 2007-2008 per la prima volta è arrivato il pallone unico
anche in Italia. In Europa si gioca con il pallone unico in
Inghilterra e Spagna, mentre con il pallone scelti dai club si gioca
ancora in Germania e Francia. Il pallone unico, bianco con
prevalenti fasce in rosso, è impiegato sui terreni delle
società impegnate nei campionati di serie A
e B. L’accordo, raggiunto ad aprile 2007, e
stato ratificato ufficialmente in Lega Calcio con
la Nike. Per cinque anni la
multinazionale americana ( che ha battuto la
concorrenza dell’Adidas) avrà l’esclusiva
sul campionato di calcio. Il contratto
prevedeva subito la fornitura di 13mila esemplari. I
palloni saranno prodotti in due aziende, una in Pakistan e una in Cina, e
saranno standardizzati. . Nelle foto,
a sinistra un vecchio pallone in cuoio di oltre mezzo secolo fa, a
destra il nuovissimo pallone unico, con le bande gialle e lilla.
SCARPETTE – Molti i
cambiamenti rispetto alle scarpette di un tempo che arrivavano alla
caviglia ed erano o troppo morbide o troppo dure, con tacchetti
inchiodati. E prima ancora le scarpe aderivano al terreno con
strisce di cuoio orizzontali (in genere quattro). Quando vennero
introdotti i primi tacchetti, questi erano costituiti da dischetti
di cuoio sovrapposti, mantenuti tra loro da un’anima di metallo. Sui
campi ghiacciati, però, i giocatori ricorrevano ad un espediente.
Indebolivano, con vari artifizi, la sommità del tacchetto prima
della partita; passavano indenni all’esame visivo dell’arbitro, poi
dopo alcuni minuti il tacchetto si logorava nella zona già manomessa
, mettendo a nudo l’anima di metallo e la testa del chiodo, che cosi
artigliavano il terreno ghiacciato, aumentando la stabilità dei
giocatori sul campo (a volte provocando, però, delle dolorose
distorsioni del ginocchio o della caviglia, per non dire del rischio
di ferire l’avversario). I progressi tecnici hanno consentito alla
varie Case produttrici di offrire ora scarpette ancora più leggere e
resistenti, a parte il rinnovato gusto estetico. Tacchetti
intercambiabili (e di numero variabile) a seconda del terreno di
gioco e della sensibilità del singolo giocatore, su suole che
ammortizzano, riducono la pressione sul tallone, tomaie
prevalentemente in pelle di canguro, superficie di tiro più ampia.
Le scarpette sono diventate tra gli oggetti più pubblicizzati
(ulteriori guadagni!) dai campioni.
GINOCCHIERE - Le
portavano quasi tutti i portieri per evitare le “sbucciature” sui
campi che in prevalenza erano in terra battuta e non col fondo
erboso. Nella foto che pubblichiamo, a sinistra, si notano le ginocchiere di un
giovanissimo Combi il famoso portiere della Juve, uno dei più dotati
del calcio italiano di ogni tempo, alle spalle della coriacea coppia
di terzini, Rosetta e Caligaris. La Juve del favoloso quinquennio e
la trionfante nazionale azzurra degli Anni Trenta, legarono al nome
di Giampiero Combi una buona parte dei loro successi. Ora i portieri
d’inverno e nelle serate fredde usano, come scaldamuscoli, calzoni
lunghi aderenti, che spesso prevedono ginocchiere sistemate
all’interno del calzone stesso.
CAVIGLIERE - Ora non si
portano più. Sono sostituite da fasciature che bloccano caviglia,
usa e getta, tipo adesivo. L’attaccante del Napoli Amedeo Amadei
(come tanti altri giocatori, per motivi estetici) portava le
cavigliere sopra i calzettoni, invece che sotto. I calzettoni, da
parte loro, erano senza pedalino, sostenuti solo da una striscia che
girava sotto il calcagno.
GUANTI – All’inizio erano usati solo da alcuni
portieri, non da tutti, Anche perché a quei tempi erano semplici
guanti di “tutti i giorni“ che poi diventavano ovviamente pesanti
sotto la pioggia. Zoff, quando giocava nel Napoli, preferiva solo
guanti di lana. Sosteneva che essi assicuravano maggiore aderenza al
pallone. Poi si è aggiornato anche lui. Ora i guanti sono quasi
tutti personalizzati, in continua evoluzione estetica e funzionale,
con nome e cognome talora scritti al polso. Dalle prime schiume in
lattice di gomma utilizzate dall'inizio degli anni '80 ai tipi più
evoluti e meno tendenti all'abrasione precoce. Previsti anche i polsini
elasticizzati. Le nuove tecnologie, inoltre,
abbinano l’esigenza di traspirazione ai tessuti con gestione
dell'umidità estremamente efficaci, così da consentire la
regolazione della temperatura e garantire prestazioni ottimali. Per grandi, per
bambini, per tutte le misure, anche a prova di computer. Chi
l’avrebbe immaginato…
CALZONCINI – I "mutandoni"
di inizio secolo si accorciarono, a mano a mano, negli Anni Venti e
Trenta. Nel dopoguerra erano a mezza coscia, poi via, via sempre
più corti. Sandrino Mazzola ne sfoggiava di veramente minuscoli,
sopra le sue cosce da grillo;
un esempio limite che dà l’idea della
moda dell’epoca e che durò alcuni decenni. Tuttavia, ai vantaggi offerti dall’assoluta libertà
di movimento, si contrapponeva lo svantaggio muscolare
dell’esposizione al freddo soprattutto d’inverno. Così, specie per
suggerimento medico, si è tornati a calzoncini un po' più lunghi.
Nota di colore: quando nel dopoguerra comparvero in Occidente le
prime squadre di calcio sovietiche, quei giocatori esibivano calzoni
al ginocchio, amplissimi, come... due gonne, una per gamba. E tutta
quella stoffa sfarfallava vorticosamente durante la corsa. Qui il
caso limite si spiega con le gelide temperature della grande madre
Russia.
CAPPELLINI – Li calzavano
in molti, non solo i portieri. Erano di tutti i tipi, ma molto
comuni. Dovevano semplicemente riparare gli occhi dal sole e
contenere qualche folta capigliatura. Nella foto a destra, in alto, una
parata di Combi, con un cappellino tipo
"coppola siciliana", sotto, invece, una parata del
portiere napoletano Cavanna, con cappellino di foggia sicula. Frequenti le reticelle per tenere in ordine la capigliatura e i baschi (come quello leggendario
dell’azzurro capocannoniere Vojak, nella foto a sinistra).
Ora i cappellini vengono usati
solo dai portieri, soprattutto per difendersi dai raggi solari o
dalle luci dei riflettori e sono naturalmente molto sbarazzini.
FASCIA DA CAPITANO -
Risale al campionato 1949-50 l'adozione della fascia di capitano sul
braccio sinistro dei giocatori prescelti. Fu deciso dal C.N. della
F.I.G.C. per mettere l'arbitro in condizione di distinguere
immediatamente il responsabile della squadra in campo, al quale
dovrebbe competere il mandato grave ed onorifico di collaborare con l'arbitro
per il buon andamento della partita.
PANCHINE –
Relativamente recente la sistemazione ai bordi del terreno di gioco,
a due metri dalle linee laterali, delle panchine così come sono
quelle moderne. All'inizio erano costituite generalmente da panche, una
per ciascuna squadra, per accogliere l’allenatore, il medico
sociale, qualche dirigente e qualche massaggiatore, visto che per
moltissimi anni non erano ammesse le sostituzioni, anche a seguito
di infortuni seri. Successivamente con la possibilità di precedere a
sostituzioni, le panchine si sono allungate. Dal 18 dicembre del
1966 sono state dotate di
copertura, a protezione dalla pioggia e dai corpi contundenti, con misure regolamentari e caratteristiche stabilite
dalla Lega. Sulle panchine sono tenute a prendere posto le persone
ammesse nel recinto di gioco e autorizzate. Nessuna grossa novità per le porte,
solo che ora si è preferita la sezione ellittica.
PARASTINCHI - Si è
passati, col tempo, dalle semplici strutture con imbottitura per
attutire i colpi alle gambe, ai parastinchi dei giorni nostri,
professionali, realizzati interamente in fibra di carbonio, con
migliore protezione della tibia, o addirittura con una camera d'aria
interna per meglio ammortizzare i colpi. L’imbottitura è in licra
all’esterno ed in velluto all’interno, che permette così un ottimo
contatto con la pelle senza far sudare la gamba. Sono estremamente
leggeri, rivestiti con vernice trasparente, ed ormai quasi sempre
fissati alla cavigliera annessa al modello, in alcuni casi tramite
una chiusura a velcro.
TRE
PUNTI PER LA VITTORIA - Nel 1994-95 venne introdotta
la regola secondo la quale sono attribuiti tre punti per ogni
vittoria e non più due, allo scopo di incoraggiare la ricerca del
successo e non accontentarsi del pareggio, e nella speranza di
ottenere un miglioramento nel gioco ed un teorico aumento
dei gol.
QUANDO
SI CHIAMAVANO "GIACCHE NERE"
- Solo recentemente gli arbitri di
calcio, con la novità dell’abbigliamento in materiale acrilico,
hanno abbandonato la giacca con bordino bianco o il successivo giubbino nero con bordino blu. A parte i motivi televisivi, negli
ultimi anni, si è voluto anche dare, per comodità, un aspetto più
sportivo, più moderno, agli arbitri . E le “giacche nere”, come sono
stati identificati per vari decenni i direttori di gara, sono finite
negli armadi con naftalina e tra indelebili ricordi. Nella foto, una
famosa terna arbitrale in “giacca nera” degli Anni Quaranta: il
bolognese Giovanni Galeati, con i segnalinee Luigi Ausiello e
Giuseppe Vollero, entrambi campani.
SOSTITUZIONI – Un aspetto
molto importante e ricco di novità è quello delle sostituzioni. La
storia del calcio è piena di giocatori infortunati che, non potendo
essere sostituiti, andavano a giocare sulla fascia per tenere
occupato un avversario senza dover correre troppo. E ci furono anche
famosi "gol dello zoppo". Con la possibilità di
sostituire i giocatori nacque uno dei più celebri argomenti di discussione
giornalistica di ogni tempo nel calcio italiano: esempio classico la “staffetta” tra
Sandro Mazzola e Gianni Rivera, bandiere dell’Inter e del Milan.
Ecco cronologicamente le novità nelle sostituzioni:
1967-1968: diventò possibile portare in panchina un
portiere di riserva (N° 12).
1968-1969: fu consentito di far sedere in panchina il
numero “tredici”, cioè un secondo giocatore di riserva, compreso il
portiere (N° 12), con la possibilità di utilizzarne due.
1973-1974: le squadre portarono in panchina anche un
secondo calciatore di riserva, il “13” e il “14”, ma le sostituzioni
restarono due: un giocatore più il portiere.
1980-1981: alle squadre fu consentito oltre ad un secondo portiere
col N° 12 , altri quattro giocatori, con i numeri “13”, “14”, “15” e
“16” . Soltanto due però potevano scendere in campo
indipendentemente dal ruolo, oltre al portiere.
1994-1995: le squadre pur continuando a portare in
panchina, oltre ad un secondo portiere con il N° 12, altri quattro
giocatori con i numeri “13”, “14”, “15” e “16” hanno potuto
utilizzare a partita iniziata sia il dodicesimo, sia altri due
giocatori, per un totale di tre sostituzioni, contro le due
precedentemente ammesse.
1996-1997: oltre al secondo portiere, le squadre hanno
potuto portare in panchina altri sei giocatori, con la possibilità
di utilizzarne però tre, indipendentemente dal ruolo, quindi
compreso il portiere.
OGGETTI
PERICOLOSI – Col tempo la Federazione internazionale
ha vietato espressamente ai giocatori di portare addosso oggetti
pericolosi, quando scendono in campo. Sono da considerare tali quelli metallici ed altri che
possano costituire pregiudizio fisico (bracciali, orologi da
polso,anelli, catene, ciondoli). L’arbitro deve obbligare i
giocatori a toglierli. In caso di rifiuto, i calciatori non possono
prendere parte al gioco. A destra, alcuni oggetti non consentiti.
NUMERI, NOMI E SPONSOR SULLE MAGLIE
– Il 18 settembre 1939, la prima giornata di campionato riservò ai
tifosi una piacevole novità, studiata a tavolino per agevolare
l'individuazione dei giocatori da parte del pubblico: i numeri
dietro le maglie, che andavano dall'1 all'11 poiché all'epoca non
esisteva la panchina con le riserve pronte ad intervenire in campo.
Successivamente, dal 1996-97, dietro le magliette furono inseriti i
numeri dall’ 1 al 99, ma l’1 e il 12 dovevano essere attribuiti ai
portieri. Contemporaneamente si rese obbligatorio per la A e per la
B far figurare i nomi dei giocatori sulle spalle degli stessi.
Nella stagione 1980-81 cominciarono a comparire sulle magliette
i nomi degli sponsor. Tale
pubblicità è consentita solo sul davanti delle maglie
e la superficie totale non deve superare 250 cmq. Esistono inoltre
regole sui vari marchi da inserire su magliette, calzettoni e
pantaloncini.
Da quando il marketing è entrato nel mercato del pallone tutto è
cambiato e le casacche dei calciatori si trasformano di anno in
anno, nei colori non sempre quelli tradizionali, con simboli
pubblicitari ed estrosità estetiche.
Nella foto a sinistra, Castellini con la maglia del Napoli sponsorizzata dalla Snaidero nel 1981-82.
PROMOZIONE E RETROCESSIONI
– Vengono stabilite di volta in volta dalle varie
Federazioni, spesso in coincidenza con gli allargamenti o riduzione
dei campionati. Il meccanismo delle promozioni e delle retrocessioni
fu applicato per la prima volta nel 1899.
CARTELLINI – Risale al
1970, in occasione dei mondiali in Messico, l’adozione dei cartellini giallo e rosso per notificare ai
giocatori (e per segnalare al pubblico) un’ammonizione o
un’espulsione. Prima di allora l'arbitro tirava semplicemente fuori
dalla tasca il suo libricino e segnava l'ammonizione o l'espulsione,
indicando, in quest'ultimo caso, al giocatore la via degli
spogliatoi.
PASSAGGIO AL PORTIERE –
Solo nel 1991 fu introdotta la norma che vieta al portiere in caso
di passaggio di un calciatore della propria squadra (anche su
rimessa laterale) di giocare la palla con le mani, ma solo con i
piedi o di testa. Fin dal 1912 il portiere può toccare la palla con le
mani solo all’interno della propria area di rigore e non più in
qualsiasi zona del campo.
RADIOCRONACHE - Una
data da ricordare: il 20 dicembre del 1959 si registrò una
grossa innovazione, destinata a riscuotere un successo senza
precedenti tra i tifosi: la Rai sperimentò collegamenti da altri
campi sulla radiocronaca dell'incontro ritenuto principale. Nasceva
in pratica, sia pure in tono minore, " Tutto il calcio minuto
per minuto". Per la cronaca, campo principale era Bergamo per
Atalanta-Palermo. Risale al 1960 il via ufficiale di "Tutto il calcio
minuto per minuto".
TELEVISIONE - Il 31
dicembre 1955 prime dirette TV, in anticipo il sabato, con Roma-Atalanta
e Napoli-Fiorentina sul neutro dell'Olimpico. Boom di vendite di
apparecchi Tv, in particolare a Napoli. Il 22 ottobre 1967 primo
esperimento della moviola in Tv (gol-fantasma di Rivera in Inter-Milan)
che debutta ufficialmente a maggio del 1969. Nel 1970 nasce 90°
minuto con i gol della giornata trasmessi nel pomeriggio. Il colore
nel calcio televisivo arriva nel 1977. Nel 1993 c'è il lancio in Italia
del calcio
in pay Tv e nel 1999 viene comminata la prima squalifica grazie alla
prova Tv.
PROIBITE PIU’ PARTECIPAZIONI IN VARIE
SOCIETA’ - La normativa sulle partecipazioni di
dirigenti in più di una Società è stata cambiata ed inasprita nel
maggio del 2004: adesso l’articolo 16 bis delle Noif (norme
organizzative interne) della Figc proibisce ai presidenti o
proprietari di Club “partecipazioni o gestioni” in altre ”Società
appartenenti alla sfera professionale” (e non più solo alla stessa
serie). E questo è anche proibito a “parenti ed affini sino al
quarto grado”. Il codice di giustizia sportiva (art.8) prevede
pesanti inibizioni. Negli anni più recenti non sono mancati i casi
di presidenti, proprietari ed azionisti di maggioranza che hanno
mantenuto il controllo di due o più squadre contemporaneamente,
provocando dubbi e sospetti su alcuni risultati. Il caso più
clamoroso fu quello della famiglia Gaucci che a cavallo tra la fine
degli anni ’90 e gli inizi del 2000 tra il padre Luciano ed i figli
Alessandro e Riccardo amministrarono ben quattro società, tre
addirittura nello stesso periodo: il Perugia dal ’91 fino al
fallimento, la Viterbese dalla fine degli anni ’90 poi venduta per
acquistare il Catania nel 2000 e la Sambenedettese presa nell’estate
del 2000. Da ricordare che Franco Sensi diventò proprietario unico
della Roma nel novembre 1993 e nel 2000 acquisì il Palermo in Serie
C 1, fino all’estate 2002 quando la Società rosanero venne ceduta a Zamparini.
Poi c’è il caso unico di Aldo Spinelli che arrivò al Livorno nel
marzo del ’99, ma subito dopo fece eleggere il figlio Roberto
presidente dell’Alessandria. Così nella stagione 2000-01 in Serie C1
le due squadre si trovarono l’una di fronte all’altra: padre contro
figlio.
1932/1953: il primo covo azzurro fu demolito dal piccone
Forse è una foto unica, superstite,
della famosa "Torrefazione Azzurra", il primo vero "covo" del tifo
napoletano, inaugurata nel 1932, e situata all'angolo tra Via
Sanfelice e Via Medina. Fu il primo ritrovo al coperto per i
tifosi napoletani. La facciata del noto bar è tutta contornata da
grappoli di frutta in occasione di una "festa dell'uva" allora
molto di moda. Dopo 20 anni, la "Torrefazione Azzurra"
scomparve tra molti rimpianti letteralmente sotto i colpi di piccone
nel 1953 nel quadro del famoso "piano di risanamento" della zona.
Negli
Anni Venti e Trenta, nell’epoca pionieristica del tifo partenopeo, i
sostenitori azzurri che volevano tenere accesa la fiammella del loro
grande amore verso la squadra, intendevano discutere, commentare,
proporre, vedersi, insomma, fuori dello stadio, questi tifosi, non avevano punti di
riferimento come li hanno oggi. Non esistevano Club Napoli, non
c’erano nemmeno i Bar sport. Qualche capannello in Galleria, a
Piazza Trieste e Trento, sotto la sede del “Mezzogiorno Sportivo”, a
rischio maltempo. Il primo covo del tifo azzurro arrivò solo nel
1932. Lo diventò la famosa “Torrefazione Azzurra”, creata all’angolo
di Via Sanfelice e Via Medina ed inaugurata su ispirazione del
grande giornalista Felice Scandone. Al tifosissimo Pasquale
Castaldo, proprietario di una tabaccheria in Via Monteoliveto di
fronte al vecchio palazzo delle Poste, e assiduo nella sede del
Napoli, Scandone suggerì: “ Perché non apri un Bar, frequentato
dagli appassionati del Napoli, che sia come un centro di raccolta,
perché tutti si conoscano e si affiatino, stiano sempre vicini al
Napoli, magari organizzando anche qualche trasferta?
Un
locale che già nel nome sia intimamente legato alla squadra
napoletana, che si chiami, per esempio, Torrefazione Azzurra?” E
così Castaldo entusiasta del suggerimento trovò subito il locale
all’angolo di Via Medina e vi allestì un magnifico Bar. E lo chiamò
appunto “Torrefazione Azzurra”.
Fu inaugurato il 4 giugno 1932, nel finale di un
campionato di centro-classifica. Intervennero tutti i dirigenti del
Napoli d’allora, capeggiati da Emilio Reale, Eugenio Coppola,
Alfredo Maiorano, molti giocatori tra cui Sallustro, i fratelli
Ghisi, Innocenti, De Martino e quasi tutti i giornalisti sportivi
napoletani. In seguito, in quel Bar, i tifosi si avvicendarono da mattina a
sera, come fossero a casa propria, in un clima familiare. Azzurro
dappertutto, le pareti, le tazzine del caffé, che recavano anche il
disegno di un pallone, i bicchieri, persino le divise dei camerieri
e dei banconisti. Un tripudio di azzurro.
E la domenica folla di appassionati la mattina, quando il
Napoli giocava in casa, e il pomeriggio quando era impegnato in
trasferta. Scandone spesso organizzò un servizio di trasmissione
lampo con la collaborazione della Redazione della “Gazzetta del
Popolo” di Torino, ben organizzata al seguito di Juve e Toro. I
risultati arrivavano via telefono e venivano trascritti col gesso,
naturalmente azzurro, sulla grande specchiera della parete centrale,
con grossi caratteri. Un grande successo per quei tempi.
Tra
i più assidui frequentatori anche Giorgio Ascarelli e Felice
Scandone, al quale il “covo” azzurro serviva per tastare il polso
dei tifosi prima di scrivere i suoi articoli. Poi, dopo il gran
successo della “Torrefazione Azzurra”, sorsero vari Bar, altri
ritrovi per i tifosi, in vari punti della città, primo fra tutti il
“Bar Pippone” che il terzino Paolo Innocenti conduceva in Via Santa
Brigida con la collaborazione della bella e dinamica moglie
bolognese, ed il Bar Cavanna in Via Roma .
Ma su quello storico angolo del tifo azzurro in Via Medina, il 21
ottobre 1953 fecero calare il piccone brutalmente spietato, anche se
“risanatore”. Il primo vero covo azzurro della città da quel giorno non
c’è più.
Restano soltanto i ricordi, ma il tempo inesorabile ha ridotto
drasticamente , se non proprio azzerato, il numero dei tifosi che
possono affidarsi alla propria memoria per ricordarlo. Ci piace
immaginare che quello striscione apparso fuori il cimitero di Poggioreale, dopo il primo scudetto di Maradona, con la scritta “E
che ve site perso!…” fosse indirizzato anche a quei tifosi pionieri
dei tempi eroici del calcio a Napoli.
Nelle altre foto, il Bar Pippone del terzino Innocenti
in Via Santa Brigida ed il Bar Cavanna in Via Roma
Come l'inglese Minter divenne italiano
a Napoli
Una lettera, documento
storico, dell'allora presidente azzurro
Vi presentiamo qui sopra un documento
di particolare rilevanza storica. E’ la lettera scritta il 5 marzo
del 1931 dall'allora Presidente del Napoli , l’on. Giovanni Maresca
di Serracapriola, duca di Salandra, a Leslie Minter, il fuoriclasse
inglese punto di forza dell’Internazionale di Napoli, con la quale
lettera gli invia la tessera onoraria dell’Associazione Calcio
Napoli, sorta nel 1926 in sostituzione dell’Internaples.
Serracapriola fu presidente del Napoli nel 1928-29, ovvero prima
del ritorno di Giorgio Ascarelli alla guida degli azzurri e divenne
di nuovo presidente, dopo la morte immatura dello stesso Ascarelli,
restando su quella poltrona fino al 1932. Giovanni Serracapriola fu
il dirigente che acquistò Colombari dal Torino per la stratosferica
(allora) cifra di 250 mila lire, ed aveva giocato con Minter per
alcuni anni, da centro-sostegno, nella famosa Internazionale di Napoli,
e poi nell'Internaples. Da parte sua, il
forte difensore inglese militò nell’Internazionale di Napoli dal
1913 al 1922, fin quando la squadra blu riuscì a reggere
economicamente ( negli ultimi anni i soci-giocatori si tassarono
ognuno di 2 lire al mese per pagare i compagni di squadra più bravi
che senza stipendi sarebbero andati via…). Nel 1922 il Naples e
l’Internazionale, le due storiche società partenopee, in crisi di
solidità, si fusero poi per diventare l’Internaples, fino al 1926,
quando Giorgio Ascarelli, tra lo champagne del ristorante D’Angelo,
in Via Aniello Falcone ( oggi fiore all’occhiello di due famosi e
tifosissimi ristoratori a livello nazionale, i cugini Mimì
Giugliano), diede vita al primo vero Napoli. Minter con la maglia
del Napoli giocò anche nel torneo 1926-27, il primo nella Divisione
Nazionale, a due gironi, quello in cui gli azzurri conquistarono un
solo punto. L’inglese Minter, dopo dieci anni di militanza nell’U.S.Internazionale,
fu l’unico giocatore ad ottenere la cittadinanza italiana, come
ricorda anche Serracapriola nella sua lettera al suo vecchio
compagno di squadra e che qui vi diamo in lettura. Essa dice:
"Carissimo
Minter, mentre appongo la firma alla tessera di Socio Onorario che
nessuno più di Lei, Minter, merita, un senso di commozione mi invade
e , presidente oggi di questo Napoli che vede sul suo campo
esplodere in manifestazioni di entusiasmo e di ira la passione di
ventimila spettatori, ripenso con nostalgico rimpianto ad anni
lontani, quando eravamo noi gli attori delle belle contese sportive,
Poco il pubblico allora e scarsissimi i mezzi, ma a tutto suppliva
la nostra fede indomita, l’attaccamento alla casacca azzurra, di cui
Lei fu tra i più tenaci difensori.
E ricordo le gesta del piccolo prodigio londinese: così la
chiamavano i giornali, rammenta?, che all’apice della Sua vita di
calciatore ebbe la più bella soddisfazione, la più ambita che uno
sportivo potesse sognare, quando la Federazione Italiana del Calcio,
riconoscendogli dopo dieci anni di gioco nella nostra squadra, la
cittadinanza sportiva italiana, lo chiamava a difendere a Roma i
colori d’Italia contro la rappresentativa di Francia.
All’atleta che conobbe tanti trionfi e tanta gloria, piccola
ricompensa è la tessera che io offro, ma il ricordo della vecchia,
modesta Internazionale che è diventata oggi il possente Napoli, glie
la renderà certo gradita.
Riceva i più cordiali, affettuosi saluti dall’antico compagno di squadra,
Giovanni Maresca di
Serracapriola.
Nella foto in alto , una
formazione dell'U.S.Internazionale di Napoli del 1912
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